La Basilica di Santa Maria di Pozzano ed il suo Crocifisso miracoloso sbarcano sul programma di TV 2000 andato in onda il 10 marzo 2020 nella trasmissione “Bel tempo si spera”. A raccontare la storia del Crocifisso miracoloso P. Gian Franco Scarpitta dell’Ordine dei Minimi. (portiamo qui di seguito il link della trasmissione: https://www.youtube.com/watch?v=pVc8Y-0ZmTo
A compimento di quanto raccontato da P. Gian Franco Scarpitta O.M. vogliamo mettere in evidenza e riproporre, tra i documenti storici ritrovati sul web, il racconto originale di P. serafino De’ Ruggeri nel suo Istoria dell’Immagine di Santa Maria di Pozzano. Da tale racconto emerge il forte legami ormai secolare tra i Padri Minimi e gli abitanti della Città di Castellammare di Stabia.
Dell’invenzione della Immagine del Santissimo Crocifisso di Pozzano
CAPITOLO XVII
“Egli il Monte Vesuvio rinomato per le sue dannose eruzzioni sin da tempi del Padriarca Abramo, dopo l’umana redenzione più formidabile e più famoso si rendette, poiché con più frequenza vomitò fuoco, e più gravi fece a molti pruovare i suoi dolorosi effetti, cominciando dell’Anno ottantunesimo di Gesù Christo nell’imperio di Tito Vespasiano, allorchè e’ ruinò e colle copiose infocate sue ceneri atterrò le Città di Ercolana, Pompejana, e le reliquie della già distrutta Stabia: e ben dodeci altre volte in varj tempi (siccome alla Divina volontà piacque di castigarne per mezzo di esso) vomitò acceso bitume, che ‘a guisa di rapidissimo torrente abbattuto quanto incontrava; lasciò sempre delle cose da lui fatte a’ posteri gran memoria. Nessuna però di tali eruazioni fù più terribile, o di più gran danni cagione, quanto quella nell’anno mille secento trentuno avvenuta; conciosia, che questo monte eruttò bituminoso fuoco ben otto continui giorni con tal scotimento, che fece sentire sin nell’Asia minore il suo strepíto; e la minuta cenere in tal copia col suo empito fece in aria salire, che oscurando colla sua densità il Sole, faceva ch’il Mondo restasse privo della sua luce, nei torchi accesi, ne le candele davano il lor consueto lume; laonde in queste nostrere Regioni si vivea tra le tenebre palpabili dell’Egitto.
Cessato era perciò ogni mestiero, impedito il traffico, perduto l’umano commerzio, ed ogni cosa di orrore e miseria ripiena. Più della felice Campania, e, più di Napoli temeva Stabia, la quale per essere molto prossima più imminente le era il pericolo dell’ultima sua desolazione. In tanta publica calamità dolente oltremodo il Vescovo Stabiano Annibale Mascambruno, a pietà mosso del suo popolo, deposta perciò la mitra, e tutti i sacri ornamenti, ‘a piè scalzi, con fune al collo, vestito di Ciliccio girava le strade, a placare il divino sdegno il suo gregge essortando: i maggiori Sacerdoti pallidi in volto, aspersi di cenere predicavano cogl’essempli non men che colle parole la penitenza: Nobili e plebei di ogni sesso ed età, in un giusti e peccatori confusi e misti facendo delle lor membra aspro governo, chiedevan a Dio misericordia, e di lor colpe perdono. Eran in fine, tali e tanti i gemiti, i singhiozzi, le lagrime e grida, che empivan di un mesti suono l’aria e cagionavan orror tale, che giunto essere il giorno estremo creduto averesti.
Governava da Superiore il nostro Convento di Pozzano in quel tempo calamitoso, il Venerabile Padre Fra Bartolomeo Rosa Uomo per Santità di costumi e per lettere molto illustre, il quale vedendo Dio sdegnato, che già preso aveva in mano il flagello per punire il nostro Regno, mosso a compassione del vicino comun pericolo e specialmente di Castellammare sua Padria, volle ancor egli (oltre le penitenze ed orazioni che secretamente faceva) concorrere con publica supplicazione a priegare la Divina misericordia, acciò rendesse l’ira sua placata; intimando perciò,a suoi frati una penitente processione, colla quale alla maggior Chiesa delle Città si condussero. Ivi giunti, salì egli in pulpito e con zelo veramente Appostolico cominciò un divoto sermone con tal fervore, che penetrando le di lui parole, dalla divina grazia ajutate, nel cuor degl’Uditori, si compunsero, ed umiliarono in tal modo
che conosciuti i loro falli, con lagrime di vero dolore piangevano. Ma non potè il buon Frate condurre a fine la fruttuosa predica, poiché da improvisa estasi sorpreso, ed in altissima contemplazione rapito, immobile lungo tempo, si tacque: tutti intanto con ansia aspettando vedere qual fusse di tal avvenimento la fine, ed ecco, che il venerabile Uomo come rivenne, così con oscure e per allora non ben intese parole, disse: andiamo, Fratelli, a prendere il Figlio, che viene a ritrovar su Madre. E ciò detto, accompagnato da’ medesimi suoi Frati e da tutto quel numeroso Popolo (al quale la Santità dell’Uomo di Dio era ben nota) verso il lido del mare, che è prossimo al nostro Conveento prese il cammino; e mentre ivi inginocchiato sua breve orazione faceva, viddesi a galla dell’acqua venire un Crocifsso di legno che appressatosi al luogo, dove e’ si trovava orando, depositossi nelle sue mani, e fece con ciò, e a lui, e alla fortunata Città, ed al Convento di Pozzano di se stesso un benefico dono.
Era egli il Crocefisso un corpo nudo d’incognito legno senz’alcun colore, ma di non mediocre artifizio di scoltura, alto quattro palmi, e senza alcuna croce ove fosse conficcato; tenendo però le braccia distese, il capo chino, e gl’occhi chiusi rappresentante il Figliuolo di Dio sul duro salutevol legno della Croce già morto. L’infiammato predicatore adunque allegro molto con divozione il prese, umilmente baciollo, e poscia in alto alzandolo, con que’ medesimi, che stavan ivi presenti di nuovo alla Città avviossi.
Grandissima fù l’allegrezza e non meno il pianto del Popolo Stabiese al vedere quella Santa Immagine fuor d’ogni espettazione lor mandata dal Cielo, correndo ogn’uno curioso e divoto a guardarla ed a riceverne la benedizzione, con ferma speranza, che il Signore per mezzo di essa Immagine averebbe lor liberati da sì gran flagello dal quale venivano allora castigati. E vie più lor conceputa speranza si accrebbe, allorchè co’ proprj occhi viddero calar un raggio di luce dal Cielo, che sopra del capo del Crocifisso fermandosi, mai da quello si partì, accompagnandolo in tutto il cammino, che il Frate per la Città fece, e con esso la benedisse: finalmente il detto raggio dilatossi di maniera, che fe dileguare le caliginose nubbi, e con ciò il bel giorno sereno apparve, che riempiendo di gioja ogni cuore, tutte le cose nel lor primiero stato e quiete ritornò. Il nostro Frate intanto carico di un tal celeste tesoro nel Convento di Pozzano portollo, e nel Noviziato di esso il dipose, dove con ogni culto e venerazione sinora si conserva.
In memoria di una tal grazia miracolosa la Città di Stabia nel di diecesettesimo di Novembre (nel qual’giorno tali cose avvennero) si obligò con voto di farne ogn’anno in nostra Chiesa cantar Messa solenne, ed altre preci solite a dirsi in rendimento delle grazie dal Signor nostro ricevute; qual pio costume ancorché sia già trascorso un secolo, religiosamente tuttora si mantiene”.
(ricerche di M. Famularo – Testo del racconto tratto da liberoricercatore.it)