CENNI BIOGRAFICI:
Elisabetta Sanna nacque a Codrongianos (Sassari) il 23 aprile 1788 da una famiglia modesta e molto religiosa. Quando aveva tre mesi , si ammalò di vaiolo e le cure causarono una menomazione permanente alle braccia: non le poteva sollevare e le teneva sempre conserti sul petto, come se stesse pregando. In questa posizione venne sempre ritratta in seguito. Nonostante l’handicap, che le impediva di mangiare e di vestirsi autonomamente, dedicò l’infanzia e l’adolescenza ai poveri. Sembrava oriantata verso una vita consacrata, ma all’età di 19 anni ubbidendo ai genitori, sposò un buon uomo. Dalla loro unione nacquero sette figli, che Elisabetta allevò da sola, quando il marito morì per un’improvvisa malattia. Rimasta vedova, pronunciò il voto di perpetua castità nelle mani di Giuseppe Valle, un giovane sacerdote che cambiò radicalmente la vita della donna. Con il suo incoraggiamento, sebbene analfabeta intraprese un fruttuoso apostolato: insegnava catechismo e si prodigava in consigli e preghiere laddove c’era discordia. I paesani la ammiravano e già la chiamavano Santa; dicevano che Dio parlava attraverso di lei. Nel 1831 partì dalla Sardegna, per andare in Terra Santa, ma il viaggio si rivelò particolarmente impervio e i due riuscirono ad arrivare a malapena a Roma. Evidentemente, il Signore aveva ben altri piani per lei. Infatti, rimasti privi di denaro, i due non riuscirono a proseguire per la Palestina, né tanto meno a fare ritorno in Sardegna. Proprio a Roma, tuttavia, tra numerose difficoltà, iniziò il periodo spiritualmente più intenso per Elisabetta. Aveva trovato alloggio in una casetta della sagrestia della basilica di San Pietro, ma non era capace di comunicare, non riusciva a confessarsi, poiché sapeva parlare soltanto dialetto sardo, e in più la sua menomazione non le consentiva di condurre una vita autonoma. Fu allora che conobbe un giovane sacerdote Vincenzo Pallotti, che divenne suo direttore spirituale. Grazie al suo sostegno, prese la difficile decisione di non tornare più in Sardegna e di rivedere i suoi figli per dedicarsi completamente al servizio dei poveri e dei malati. Era devotissima alla Madonna e si preoccupava di tenere sempre accesa una lampada a olio sotto il suo quadretto della Virgo Potens: un olio miracoloso che guariva i fedeli da cancrene, tumori, slogature, febbri e virus. Era un fulgido esempio di carità cristiana e proprio per questo i cittadini di Roma la chiamavano la “Santa di San Pietro”. In questo periodo, Elisabetta Sanna entrò in contatto anche con padre Bernardo Clausi e venne a conoscenza del carisma di San Francesco di Paola. Secondo quanto narrato da padre Remigio Pancrazi nella sua opera dal titolo Cenni storici dell’Ordine dei Minimi, la “Santa Sarda”, che era già terziaria francescana, divenne anche terziaria minima e fu proprio Vincenzo Pallotti a cingerle il cordone. La “Santa di San Pietro” morì a Roma nel 1857. La memoria liturgica si celebra il 17 febbraio.
INSEGNAMENTO:
“Ti ho, Dio, in cuore e in mente, perché troppo mi hai amata. Viver non posso più lontana da Dio. Gesù è il cuor mio e io sono di Gesù”
(Beata Elisabetta Sanna)
(Le agiografie riportate sono tratte da “Di bene in meglio fino alla fine – i volti della misericordia sui passi di san Francesco di Paola” de “La Voce del Santuario” anno 88 – 2016)