TUTTO APPARTIENE ALL’AMORE
Presentazione e approfondimento della Lettera apostolica di papa Francesco Totum amoris est a cura di don Emanuele Scarpino
Il Terz’Ordine dei Minimi gode del patrocinio di San Francesco di Sales, che ha ricevuto negli ultimi anni una particolare attenzione da parte del Magistero pontificio. Infatti, i Papi, a partire da prospettive differenti, in rapporto alle diverse situazioni storiche che si sono trovati ad affrontare, hanno sottolineato alcuni aspetti delle numerose iridescenze della complessa personalità del santo vescovo di Ginevra e lo hanno proposto al popolo di Dio come modello di sequela del Signore Gesù. Già nel 1923 Pio XI, profittando del III centenario della morte del santo, ha proposto di porre lo sguardo sulla forza della sua mitezza di fronte al disastro causato dalla I guerra mondiale e davanti ad una ricostruzione che era chiamata a fare i conti con i desideri di realizzazione nazionalista degli Stati coinvolti nello scontro bellico, che ancora non erano giunti ad una dimensione di equilibrio pacifico. Si comprese allora come questo stato di cose poteva essere sciolto solo grazie all’assunzione di atteggiamenti più mansueti.
Paolo VI nel 1967, in occasione del IV centenario della nascita di san Francesco di Sales, ha inteso proporre un messaggio al popolo cristiano mettendo in luce la dimensione peculiare della spiritualità del santo. In quell’intervento magisteriale il Papa intese, appunto, prendere le mosse da un legame personale con il Santo per sottolineare ciò che lo aveva spinto ad indirizzare il messaggio. Il Papa ebbe a sottolineare la capacità profetica di Francesco di Sales nei riguardi delle intuizioni che furono poi abbracciate dal Concilio Vaticano II. Per questo motivo egli vide nel santo una sorta di lampada, capace di gettare ancora luce sul cammino dei cristiani.
L’ultimo intervento del Magistero, sul quale concentreremo l’attenzione, è la Lettera apostolica di papa Francesco, Totum amoris est, redatta in occasione del IV centenario della morte del santo (28 Dicembre 2022). Il Papa, cogliendo l’opportunità offerta dalla ricorrenza centenaria, ha voluto mettere in risalto alcune particolari doti che hanno contraddistinto il ministero di accompagnatore di anime realizzato dal santo. Di fronte alle tante dimensioni della vita del santo vescovo, questo aspetto di accompagnamento, secondo il Pontefice, riveste un ruolo importante ed ancora oggi è in grado di portare un messaggio utile per il cammino di sequela del Signore di molti cristiani.
Il Pontefice prende le mosse dalla constatazione di alcuni avvenimenti centrali, legati alla vicenda biografica del santo, per far emergere dalla sua storia le situazioni che lo hanno condotto ad essere un uomo attento ai movimenti di Dio nella propria vita. Ciò è possibile coglierlo sin dalle prime scelte che il santo fa per dare una direzione alla sua esistenza: nato da una nobile famiglia e avviato alla carriera da avvocato, il giovane Francesco avverte nel suo cuore una forma di desiderio più profondo, che non riesce a trovare semplice appagamento attraverso le dimensioni di realizzazione umana che quella professione gli prospetta. Attraverso un’attenta lettura della sua tensione interiore, il giovane coglie che in quel desiderio si va presentando una chiamata alta da parte di Dio, che lo spinge verso il sacerdozio.
La spinta alla comprensione dei movimenti interiori evidentemente non trova un arresto di fronte a questa comprensione, ma diventa un motore che rende il santo un uomo sempre attento ai pensieri e ai sentimenti che si vanno presentando nel cuore, consapevole del fatto che è proprio attraverso questi che si manifesta la volontà di Dio. Tale attenzione porta Francesco di Sales a farsi interprete delle esigenze nuove che la storia presenta: egli sceglie di dedicarsi in modo speciale alla predicazione, affrontando la sfida impegnativa del calvinismo che nel territorio in cui egli muove i passi è un terreno di scontro tra le Chiese. Non a caso egli offre la sua disponibilità per recarsi a Ginevra, dove ha modo di vivere da protagonista il dibattito che i teologi cattolici vanno intessendo con quelli della Riforma.
Il Pontefice gli chiede, anche grazie al suo peculiare impegno in questa dimensione del ministero, di divenire vescovo coadiutore di Ginevra nel 1602. Questa non rappresenta per Francesco una forma di realizzazione, in quanto è ben consapevole che tale impegno porta grave peso sulle sue spalle. Nella prospettiva ecclesiale, però, è importante riconoscere questo aspetto: la
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Santa Sede, guardando all’impegno profuso, riconosce in Francesco un uomo che ha da dire al suo tempo una parola di valore, un uomo in grado di difendere la fede non solo per via di un approfondimento dottrinale, ma per la sua acuta capacità di leggere i segni dei tempi. Prima della sua ordinazione episcopale muore il vescovo titolare di Ginevra ed in poco tempo egli è chiamato a ricoprire il servizio di Vescovo della diocesi di Ginevra, che in quel tempo si trova ad essere nelle mani dei riformati, tanto che il santo vescovo si vede costretto a trasferire la sua sede ad Annecy.
La biografia di questo vescovo ha ancora tanto da dire oggi: il Papa ha messo in luce più aspetti, ma la nostra attenzione nella lettura del contributo pontificio muove da una domanda relativa al cammino terziario minimo. La domanda dalla quale intendo partire e che vuole costituire in qualche misura il motore e l’ossatura della ricerca nella disamina della Lettera apostolica è la seguente: cosa può dire la vita di Francesco di Sales al cammino spirituale di un terziario minimo oggi? Se partiamo dalla consapevolezza che la vita spirituale viene nutrita dalla preghiera, proviamo anche a chiederci: quale stile di preghiera traspare dalla vita del santo vescovo di Ginevra?
Abbiamo già considerato un aspetto centrale della spiritualità del santo, che riguarda questa sua capacità di lettura dei movimenti interiori in cui si manifestano i desideri di Dio; ora proviamo a seguire il ritmo che viene consegnato dal Pontefice all’interno della lettera guardando ad alcune espressioni in essa contenute. L’intento che ci muove è quello di riflettere su quanto scritto dal Papa, cercando di mettere in luce degli aspetti che possono risultare utili per il cammino di vita spirituale dei terziari minimi.
1. Dio dal cuore umano
Il primo aspetto preso in considerazione dal Papa è quello dell’identità di Dio secondo il vescovo di Ginevra, che il Pontefice riassume attraverso l’espressione “Dio dal cuore umano”.
La questione della vera immagine di Dio è necessariamente da porre al centro di ogni cammino spirituale. Di questo è certamente consapevole san Francesco di Sales. Ci sono delle interessanti testimonianze che dicono la sua particolare propensione ad evangelizzare le idee di Dio che vanno sorgendo in modo erroneo nel cuore dei suoi contemporanei. Famoso è il dialogo che intercorre tra il re di Francia Enrico IV e Francesco di Sales. Secondo quanto raccolto nel primo processo di canonizzazione, il Re, avendo una particolare stima per l’uomo di Dio e discorrendo con lui, mette a tema un problema serio relativo al popolo: quello della falsa immagine di Dio. «Gli uni dicevano che Dio nella sua bontà e grandezza non si curava da vicino delle azioni degli uomini, mentre gli altri credevano che egli fosse sempre pronto a sorprenderli, attendendo soltanto l’ora in cui fossero caduti in qualche leggera mancanza per condannarli eternamente»2.
La situazione tratteggiata dal re di Francia è terribile, in quanto sembra che la percezione di Dio si muova solo su due binari, distanti dalla Rivelazione: da una parte un Dio indifferente, dall’altra un Dio sorvegliante o sotto le fattezze di un guardiano. Accogliendo le perplessità espresse dal Re, il Santo si dice consapevole della divergenza del suo annuncio e si esprime in un modo, che potrebbe essere accostato alla percezione di sé che ha l’apostolo Paolo quando va ad annunciare
1 FRANCESCO, Lettera apostolica nel IV centenario della morte di San Francesco di Sales Totum amoris est (28 Dicembre 2022).
2 M. WIRTH, San Francesco di Sales. Un progetto di formazione integrale, LAS, Roma 2021, 137. 2
«Se l’uomo pensa con un po’ di attenzione alla divinità, immediatamente sente una qual dolce emozione al cuore, il che prova che Dio è il Dio del cuore umano». È la sintesi del suo pensiero. L’esperienza di Dio è un’evidenza del cuore umano. Essa non è una costruzione mentale, piuttosto è un riconoscimento pieno di stupore e di gratitudine, conseguente alla manifestazione di Dio. È nel cuore e attraverso il cuore che si compie quel sottile e intenso processo unitario in virtù del quale l’uomo riconosce Dio e, insieme, sé stesso, la propria origine e profondità, il
proprio compimento, nella chiamata all’amore1.
Gesù risorto all’areopago di Atene3. Anche Francesco di Sales percepisce che l’identità di Dio che egli annuncia, biblicamente fondata, rischia di essere accolta come una forma di novità divergente. Forse anche per questo motivo egli scrive: «vi farò conoscere, bensì vi farò scoprire, quel Dio tanto amabile, che è morto per noi»4.
Secondo i biografi di Francesco, questa conoscenza è da considerare come maturata all’interno di una grande prova spirituale che il Santo aveva vissuto a Parigi, quando era un giovane studente. Egli pensava che Dio volesse destinarlo all’inferno. Questa crisi fu grande, tanto da far investire a Francesco molte sue risorse per ragionare su questo, ma soprattutto per pregare e ricevere lumi da Dio. Egli in quella circostanza maturò la convinzione, soprattutto mediante lo studio della filosofia e teologia, che Dio è buono. Questo costituì poi per lui una base sicura su cui poter camminare, anche e soprattutto quando dovette scontrarsi con visioni particolari del suo tempo, secondo cui sarebbe Dio a provocare il male che si scatena nel cuore umano, istigando addirittura l’azione di Satana.
Il Vescovo di Ginevra, al fine di presentare il volto di Dio che emerge dalla rivelazione biblica, assume delle definizioni di Dio che si presentano con un tono del tutto differente. Egli giunge a definire il Padre di Gesù Cristo come il Dio del cuore umano. È una visione biblica, vicina a quello che viene detto in Esodo:
Mosè disse a Dio: «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi». Dio aggiunse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione»5.
La rivelazione biblica in questo punto nodale esprime la presenza di un Dio attento alle vicende di vita del suo popolo. Un Dio che cammina con la sua gente, che non osserva il suo popolo col fine recondito di registrare eventi da porre in giudizio, ma che entra nella storia e la guida con uno sguardo provvidente. Egli, inoltre, si definisce come il Dio dei padri, cioè il Dio che entra nel tessuto di relazioni di Israele: non sta in disparte, né le vive con un tono di sorvegliante. Sono questi i sentimenti che portano Francesco di Sales ad affermare nella Filotea: «O Signore, tu sei il mio Dio, il Dio del mio cuore, il Dio della mia anima, il Dio del mio Spirito; come tale ti riconosco e ti adoro per tutta l’eternità»6.
Queste espressioni certamente segnalano la conclusione di un percorso, in cui Francesco di Sales provvede ad esaminare ciò che si muove nel suo cuore: egli da giovane – come abbiamo visto – aveva visto abitare nel suo cuore alcune idee lontane dalla rivelazione biblica, anch’egli era stato assalito dal dubbio circa la vera identità del Padre. Francesco ha di certo vissuto un tempo di fatica, in cui però è riuscito a trovare il coraggio per mettere davanti alla sua ragione ed ai suoi affetti le idee non coerenti con la rivelazione. Attraverso questo processo il vescovo di Ginevra riesce a realizzare una evangelizzazione del profondo. Questo processo non può essere tralasciato in un cammino di vita cristiana: per quanto ciascuno di noi si impegni nel tutelare all’interno delle proprie idee una visione di Dio corretta, non è possibile eliminare ogni dubbio circa l’identità di Dio che abita nella profondità della propria memoria. È possibile affermare che esiste una sorta di idea innata di Dio, che ciascuno di noi porta con sé. Possiamo far rientrare in questa categoria tutte quelle esperienze di paternità e maternità, tutte le espressioni dei punti di riferimento che abbiamo sperimentato nella vita e che, quasi inevitabilmente, noi proiettiamo su Dio.
3 Cfr. M. WIRTH, «Un santo ispirato dall’amore» in Commenti e approfondimenti alla lettera apostolica “Totum amoris est”, Elledici, Torino 2023, 41.
4 FRANCESCO DI SALES, Sermoni, III, 267.
5 Es 3, 13-15.
6 FRANCESCO DI SALES, Filotea. Introduzione alla vita devota, cap. XX.
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È un processo normale, perché ciascuno di noi parla con gli strumenti linguistici che ha a sua disposizione: anche nella vita spirituale siamo chiamati a crescere nella conoscenza della rivelazione della paternità del Dio di Gesù Cristo e questo passa necessariamente attraverso la purificazione di quelle esperienze che abbiamo realizzato nel corso della vita. Il primo aspetto, quindi, che possiamo trattenere a partire dalla lettera del Papa riguarda proprio la nostra idea di Dio, nella consapevolezza che tale comprensione può crescere solo se ci mettiamo in sincero ascolto della Parola di Dio e cresciamo nella consapevolezza di cosa Dio desidera comunicare a ciascuno di noi, senza vivere il timore di far emergere dal nostro cuore quelle prospettive di Dio ancora non evangelizzate, quelle idee di Dio ancora immature che dicono più di noi che di lui.
A tal proposito vorrei lasciarvi alcuni interrogativi, nella speranza che possano esservi utili nella continuazione della riflessione personale:
- – Quale è l’idea di Dio che abita nel tuo cuore?
- – Quando emergono le fatiche più pesanti come pensi che sia Dio?
A puntarti il dito contro oppure ad accogliere l’espressione della tua fatica?
2. La volontà di Dio
Col senso intimo di una quotidianità abitata da Dio, aveva lasciato nell’ultimo incontro di quei giorni di Lione, alle sue Visitandine, l’espressione con la quale in seguito avrebbe voluto fosse sigillata in loro la sua memoria: «Ho riassunto tutto in queste due parole quando vi ho detto di non rifiutare nulla, né desiderare nulla; non ho altro da dirvi». Non era, tuttavia, un esercizio di puro volontarismo, «una volontà senza umiltà»,quella sottile tentazione del cammino verso la santità che la confonde con la giustificazione mediante le proprie forze, con l’adorazione della volontà umana e della propria capacità, «che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore». Tanto meno si trattava di un
puro quietismo, un abbandono passivo senza affetti a una dottrina senza carne e senza storia7.
Il secondo aspetto che vorrei mettere in luce riguarda ciò che il Papa nel suo Magistero definisce come sottile nemico della santità nel mondo contemporaneo. Già nell’esortazione apostolica Gaudete et Exsultate (2018) il Papa aveva guardato alla santità contemporanea sottolineando come al tempo d’oggi è possibile ritrovare dei punti di contatto con i rischi e le risorse dei primi secoli di vita cristiana. Citando i Padri della Chiesa il Papa mette in guardia i fedeli da due movimenti ereticali che erano presenti agli albori del nostro cammino e che rischiano di ripresentarsi, sebbene attraverso delle forme del tutto differenti. Il Papa cita lo gnosticismo e il pelagianesimo8. Quanto dice a proposito di questa seconda eresia sembra porsi bene in dialogo con questa citazione della lettera dedicata a Francesco di Sales. Il pelagianesimo è un’eresia elaborata da Pelagio nel IV secolo d.C. Pelagio era un monaco che pensava di poter raggiungere la salvezza con le sue sole forze. Provando a descrivere in estrema sintesi la sua prospettiva, possiamo affermare che la convinzione del monaco era che il peccato originale non avesse realmente corrotto l’uomo e che, per questo motivo, ciascuno è in grado di salvarsi con le proprie forze, solo in funzione della scelta di aderire a Dio. In quest’ottica Gesù non è più il Mediatore ed il Redentore di cui abbiamo bisogno per salvarci, ma viene presentato semplicemente come esempio, che deve essere seguito a prescindere da quanto la Grazia possa agire in ciascuno di noi.
7 FRANCESCO, Lettera apostolica nel IV centenario della morte di San Francesco di Sales Totum amoris est (28 Dicembre 2022).
8 Cfr. FRANCESCO, Esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo Gaudete et exsultate (19 Marzo 2018), 35-62.
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È evidente che di fronte alla presentazione di questo approccio eretico ciascuno di noi è portato a storcere il naso perché facilmente riconosciamo in questa prospettiva una dimensione di errore. Noi siamo ben consapevoli che abbiamo bisogno di Cristo per salvarci! Eppure, spesse volte, anche noi secondo il Papa incorriamo nel rischio di credere che possiamo camminare semplicemente facendo leva sulle nostre gambe. Papa Francesco nell’esortazione apostolica afferma che questa convinzione si fa presente in molti modi:
[…] l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e il prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale […]. Molte volte, contro l’impulso dello Spirito, la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in possesso di pochi. Questo accade quando alcuni gruppi cristiani danno eccessiva importanza all’osservanza di determinate norme proprie, di costumi ostili9.
Quello che Francesco di Sales lascia in eredità alle Visitandine si pone nella stessa direzione e risulta estremamente attuale: il vescovo dice chiaramente che l’uomo si costruisce a partire dal suo cuore, dalla sua interiorità. Di fronte a molti suoi contemporanei, che ritenevano che l’educazione consistesse nell’assumere determinati stili di vita e che credevano si dovesse partire dalla messa in atto di atteggiamenti esterni per avviare qualcuno verso un cammino di serio discepolato, Francesco di Sales trasmette un’altra idea di vita cristiana e un’altra prospettiva da vivere nella preghiera. Egli sa bene che la costrizione degli atteggiamenti esterni non è in grado di muovere il cuore: per spingere qualcuno verso una sequela sincera non serve solo un grande sforzo di volontà, ma è necessario ricostruire la propria interiorità.
Questa sapienza non proviene semplicemente dallo studio di qualche trattato di spiritualità, ma emerge con forza dall’esperienza di fede condotta dallo stesso vescovo: dalla crisi e dal fallimento Francesco di Sales ha tratto una speranza che è stata purificata. Egli ha compreso che il cuore si può dilatare non per la capacità di allargare il perimetro della propria volontà oppure attraverso la conduzione di particolari attività, ma il cuore si dilata in primo luogo quando sperimenta l’amore di Dio. C’è una pagina del Vangelo che secondo Francesco riesce bene a rendere l’idea di questo cammino cristiano: si tratta del momento vissuto da Gesù nell’Orto degli Ulivi, in cui viene offerta l’immagine di una preghiera che vede la volontà messa alla prova dalla fragilità della nostra umanità, fatta di carne e sangue, ma non si scoraggia in quanto ha una nitida conoscenza dell’amore di Dio, che diviene la fonte di ogni stabilità.
La crisi di Francesco di Sales ha rivelato la parte più profonda del suo essere: un cuore innamorato di Dio. Egli comprese che la sottomissione della propria volontà alla volontà del Padre, a imitazione di Cristo nell’Orto degli Ulivi, è il vertice dell’amore puro. Una tale risposta al volere di Dio può essere data solo per puro amore, e scaturisce dal centro più sublime dello spirito10.
Si tratta di giungere a comprendere che la vicinanza di Dio non si può misurare semplicemente a partire dagli eventi che la storia ci presenta. Dio non ci ama perché siamo nelle condizioni di realizzare quanto da Lui voluto, né noi possiamo vivere cristianamente credendo di poterlo amare nella misura in cui otteniamo qualcosa di buono dalla sua misericordia. Il cammino ci fa giungere a prendere consapevolezza del fatto che la certezza dell’amore che nutriamo per il Signore non è data
9 FRANCESCO, Esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo Gaudete et exsultate (19 Marzo 2018), 57-58.
10 A. F. ARTIME, Fate tutto per amore, nulla per forza, in <
https://notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=17118:fate-tutto-per-amore-
nulla-per-forza-san-francesco-di-sales-strenna-2022&catid=306&Itemid=101>.
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dal sentirsi bene, ma è offerta dalla consapevolezza di compiere la volontà di Dio, lasciando spazio alla sua azione nella nostra vita. A questo riguardo credo sia utile per ciascuno di noi interrogare il nostro modo di pregare: in alcune situazioni ci sentiamo portati a raggiungere il Signore semplicemente per presentargli dei progetti che abbiamo in mente, quasi col desiderio di comunicarglieli, forse per provare ad acquisire il suo favore su un determinato piano che abbiamo programmato con la nostra ragione e che pensiamo di poter portare a termine semplicemente con le nostre forze. Una preghiera del genere è evidentemente snaturata, perché non riesce a cogliere nell’orazione quella relazione tra il Dio dal cuore umano e la nostra storia. Potrebbe aiutarci, allora, chiederci:
- – Come vivo la mia preghiera?
- – Quanto considero l’azione della grazia quando programmo le mie attività?
3. Che significa essere umano?
Il Papa nella lettera annota che Francesco di Sales si è trovato a vivere un tempo di profondi cambiamenti, che hanno animato in maniera importante la cultura francese in cui il vescovo muove i suoi passi. Risulta opportuno in questo contesto accennare alle grandi riforme culturali che apporta l’Umanesimo rinascimentale mentre Francesco svolge il suo ministero di presbitero e di vescovo. In primo luogo è possibile annotare che il Rinascimento si presenta con dei caratteri di “rifiuto”: a livello culturale si iniziano a rinnegare alcuni aspetti che avevano accompagnato i processi educativi fino a quel momento considerati validi. Basti pensare alla centralità che rivestiva la filosofia di Aristotele nel Medioevo e considerare come in questo periodo venga rigettato il rigore geometrico della logica Scolastica, ritenuto in qualche misura sterile, non in grado di porsi in dialogo con una realtà umana cambiata, vivificata da stimoli dal carattere differente. Da questo rifiuto, però, sorge un aspetto del tutto positivo, teso a conoscere l’uomo nelle diverse sfaccettature della sua complessa realtà. Ciò si coglie nelle numerose espressioni culturali del tempo e necessariamente riveste un ruolo centrale anche nell’educazione religiosa o – per meglio dire nel contesto in cui noi ci muoviamo – nell’educazione alla preghiera che san Francesco di Sales propone ai suoi contemporanei.
Potremmo chiederci: da dove parte il giovane Francesco nella comprensione del nuovo modo di pensare l’uomo e di pensarlo in rapporto con Dio? Possiamo affermare che un ruolo centrale nella formazione di Francesco è ricoperto dalla Compagnia di Gesù. «Nel 1963 i gesuiti aprirono a Parigi il collegio di Clermont che il giovane Francesco frequenterà per dieci anni. I gesuiti rinnovarono profondamente l’insegnamento e la pedagogia del loro tempo rispetto alle vecchie università medievali. Osarono mutuare dall’umanesimo in voga tutto ciò che poteva favorire il loro apostolato, specialmente lo studio della cultura classica, senza rompere totalmente con il passato»11. Il nuovo stile educativo, cristallizzato nella Ratio studiorum che i gesuiti erano soliti redigere come base della formazione del Collegio, mirava a conoscere l’uomo, inteso come un microcosmo tra il cielo e la terra.
Questa prospettiva, che il santo vescovo ha sperimentato tra i banchi di scuola, si ritrova facilmente negli scritti di Francesco. Tra le altre cose, basti pensare al suo profondo desiderio di conoscere l’umano, che egli dice di voler apprendere in tutte le sue dimensioni «con tutte le sue azioni e dipendenze»12. È evidente che il vescovo di Ginevra segue un approccio realista: egli non è trasportato da facili o ciechi entusiasmi, né è portato a disprezzare le fatiche e le pesantezze dell’umanità. È possibile affermare che Francesco di Sales profonde un importante impegno nel desiderio di ricercare tutti gli aspetti nobili dell’uomo, anche in quelle dimensioni che solitamente vengono tacciate di minore dignità.
11 M. WIRTH, San Francesco di Sales. Un progetto di formazione integrale, LAS, Roma 2021, 16. 12 FRANCESCO DI SALES, Trattenimenti spirituali, VI, 76.
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A tal proposito vorrei solo posare lo sguardo su quanto Francesco di Sales scrive circa il corpo dell’uomo che, nella prospettiva che papa Francesco ha definito “neo-gnostica”13, viene anche oggi considerato come il residuo di negatività dell’umanità, un elemento quasi da estromettere nella relazione con il Signore. Il vescovo di Ginevra è, invece, convinto che il corpo sia estremamente coinvolto nella preghiera e che la salute di tutto l’uomo è concepibile solo attraverso la comprensione di un sano equilibrio da realizzare tra il corpo e l’anima. Francesco di Sales è assertore convinto dell’unità che esiste nell’uomo e a proposito del corpo nella Filotea scrive delle pagine importanti, tanto che da alcuni suoi contemporanei vengono ritenute inopportune, quasi da portare a considerare l’Introduzione alla vita devota un’opera contro il pudore14.
Il vescovo di Ginevra è, invece, convinto che il corpo abbia anche un suo ruolo nella preghiera: per esemplificare questa verità basti pensare al fatto che l’assunzione di alcuni atteggiamenti del corpo (per es. mettersi in ginocchio, raccogliersi in modo silenzioso in preghiera…) sono di aiuto per entrare in un orizzonte spirituale adeguato. È come se il corpo aiutasse l’uomo a vivere momenti di comunione col Signore attraverso la preghiera. Quando parliamo di corpo non facciamo evidentemente riferimento solo alla carne e alle ossa che compongono la nostra materia, ma ci appelliamo anche a tutto quel mondo che è connesso al corpo, come per esempio al mondo emotivo, che apre le porta ad una comprensione di ciò che vive in una maggiore profondità nel nostro cuore, cioè gli affetti. Il ruolo di questa forma di integralità dell’uomo all’interno della preghiera secondo papa Francesco riveste un compito importante. Egli tratta questo aspetto a partire da un punto di vista prospettico tradizionale, quello del desiderio. Scrive il Papa:
Attraverso l’esperienza [Francesco di Sales] aveva riconosciuto il desiderio come la radice di ogni vera vita spirituale e, al tempo stesso, quale luogo della sua contraffazione. Per questo, raccogliendo a piene mani dalla tradizione spirituale che lo aveva preceduto, aveva compreso l’importanza di mettere costantemente il desiderio alla prova, mediante un continuo esercizio di discernimento. Il criterio ultimo per la sua valutazione lo aveva ritrovato nell’amore. […]Ecco la domanda vera che supera di slancio ogni inutile rigidità o ripiegamento su sé stessi: chiedersi in ogni momento, in ogni scelta, in ogni circostanza della vita dove si trova il maggiore amore. Non a caso San Francesco di Sales è stato chiamato da San Giovanni Paolo II «Dottore
dell’amore divino», non solo per averne scritto un poderoso
Trattato
, ma soprattutto perché ne è
stato testimone. D’altra parte, i suoi scritti non si possono considerare come una teoria composta a tavolino, lontano dalle preoccupazioni dell’uomo comune. Il suo insegnamento, infatti, è nato da un attento ascolto dell’esperienza. Egli non ha fatto che trasformare in dottrina ciò che viveva e leggeva con acutezza, illuminata dallo Spirito, nella sua singolare e innovativa
azione pastorale. Una sintesi di questo modo di procedere la si ritrova nella
stesso
Trattato dell’amore di Dio
nell’amore, si fa per amore e viene dall’amore»15.
: «Nella santa Chiesa tutto appartiene all’amore, vive
Prefazione allo
Per cogliere la portata del desiderio possiamo partire nel nostro ragionamento da un’altra realtà, quella dei bisogni. Bisogno e desiderio, infatti, rinviano entrambi ad una forma di mancanza. La parola desiderio ha inscritta nel suo lemma questa dimensione. De-siderio è una parola che proviene dal latino: con il “de” indica la privazione, mentre attraverso la seconda parte del termine si rifà alla stella, che in latino è detta “sidus”. Potremmo rendere il termine, quindi, con la percezione della mancanza di una stella, ossia in senso figurato di un punto di riferimento. Il bisogno condivide la dimensione della mancanza con il desiderio. Esso rappresenta la necessità di qualcosa: vi sono dei bisogni vitali (come quello di cibo oppure del respiro), ma vi sono anche bisogni di altro genere,
13 Cfr. FRANCESCO, Esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo Gaudete et exsultate (19 Marzo 2018), 36-46.
14 Cfr. M. WIRTH, San Francesco di Sales. Un progetto di formazione integrale, LAS, Roma 2021, 32-33.
15 FRANCESCO, Lettera apostolica nel IV centenario della morte di San Francesco di Sales Totum amoris est (28
Dicembre 2022).
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come quelli legati alla dimensione affettiva dell’uomo. Il desiderio differisce dal bisogno perché ha una radice posizionata in maggiore profondità. Se il bisogno esprime spesso un’esigenza del corpo, potremmo dire che il desiderio manifesta le esigenze dello spirito, che coinvolgono tutto l’uomo: la sua memoria, la sua intelligenza, la sua volontà, il mondo dei suoi affetti. A causa di questa maggiore profondità il desiderio perdura nel tempo: esso non si spegne e nemmeno riesce ad essere ridotto al silenzio a causa dei fallimenti che solitamente si vivono; anzi, spesso il desiderio viene rafforzato dalle prove che sono rappresentate dagli insuccessi che si vanno sperimentando nella vita.
Potremmo sintetizzare il ragionamento di Francesco di Sales attraverso questa espressione un po’ semplicistica: se l’uomo è riconosciuto come un essere fatto di bisogni e di desideri, perché la preghiera non può essere riconosciuta come sana nel momento in cui parte da queste realtà pienamente umane? Perché spesso pensiamo di pregare facendo a meno dei nostri desideri e dei nostri affetti? Se continuassimo a ragionare in questo modo, noi porteremmo davanti a Dio solo parte di noi stessi e non gli presenteremmo davvero la pienezza della nostra umanità. Attraverso il suo insegnamento Francesco di Sales ci provoca e ci invita a ripensare il nostro modo di pregare come un luogo in cui tutta la nostra umanità viene toccata ed evangelizzata dalla Parola di Dio. Solo se diventiamo consapevoli del fatto che l’incontro con la Parola muove le corde nella nostra interiorità, noi possiamo essere in grado di riconoscere quanto realmente ci porta in una determinata direzione. Francesco di Sales è consapevole che la vita spirituale consiste in un serio combattimento: quello che spesso vede fronteggiarsi in un duello il nostro sentire e il nostro volere. Il cuore umano vive una forma di irrequietezza perché in esso ci sono dei desideri che non trovano appagamento. Allora Francesco, consegnandoci questi criteri di discernimento, ci suggerisce in primo luogo di considerare tutte le dimensioni della nostra umanità, anche quelle che forse consideriamo meno nobili.
Secondo il vescovo di Ginevra, partendo dal bisogno di dare un nome a quello che si muove nel mondo delle nostre emozioni e dei nostri affetti, saremo in grado di operare delle scelte libere davanti al Signore, perché riusciamo a conoscerci meglio. Serve, quindi, inserire nella preghiera il nostro mondo degli affetti, altrimenti rischiamo di vivere una preghiera arida, che mira a divenire imperturbabile al caro prezzo di sezionare la nostra umanità. Vivere e scegliere alla luce dell’amore richiede sempre questo lento lavorio, che coinvolge tutto noi stessi. Se non guardiamo nel nostro cuore con onestà, difficilmente potremmo dire di amare sinceramente Dio e gli altri, perché saremo sempre trasportati da quelle forze che non vediamo e che, forse, ci costringono ad andare dove noi non vorremmo16. Per questo motivo potrebbe essere utile riflettere su questi interrogativi:
- – Nella mia preghiera sono capace di avvertire le forze divergenti che si muovono tra gli affetti?
- – Quando mi trovo a dover prendere delle scelte mi confronto con Dio? Sono consapevole che Dio non è il rivale del mio desiderio, ma è Chi può realizzare i desideri e i bisogni più intimi di me stesso?
4. La conversione degli atteggiamenti
Ordinato sacerdote il 18 dicembre 1593, nei primi giorni di settembre dell’anno seguente, su invito del vescovo, Mons. Claude de Granier, fu chiamato alla difficile missione nello Chablais, territorio appartenente alla diocesi di Annecy, di confessione calvinista, nuovamente passato, nell’intricato dedalo di guerre e trattati di pace, sotto il controllo del ducato di Savoia. Furono anni intensi e drammatici. Qui scoprì, insieme a qualche rigida intransigenza che in seguito gli darà da pensare, le proprie doti di mediatore e uomo di dialogo. Si mostrò, inoltre, inventore di
16 Cfr. Rm 7,18-25.
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originali e audaci prassi pastorali, come i famosi “fogli volanti”, appesi ovunque e fatti
scivolare persino sotto le porte delle case17.
Siamo soliti guardare a Francesco di Sales come un uomo dalla grande mitezza. Questa è una importante verità che, come abbiamo visto, è stata messa in risalto anche dai Pontefici. Mentre guardiamo al santo vescovo come maestro di preghiera, credo sia allo stesso tempo interessante osservare il processo che ha condotto quest’uomo a vivere con impegno la dimensione evangelica della mitezza. Le testimonianze ci presentano un carattere di Francesco tutt’altro che mite: egli viene descritto come estremamente espansivo a livello emotivo, in grado di accogliere le diverse espressioni della sua emotività. Ci vengono addirittura narrate le esplosioni emotive che lo hanno lungamente riguardato. Sono famose le espressioni visive, come il suo diventare rosso in volto a causa di eventi che lo portano ad arrabbiarsi. Sono pure da registrare certi scatti d’ira contro gli eretici del tempo e contro la cortigiana di Padova; per queste espressioni si era guadagnato il titolo di «vulcano sotto la neve»18.
Appare complesso accostare questa descrizione di Francesco con l’immagine dell’uomo estremamente mite e sereno. Possiamo affermare con certezza che l’uomo di Dio non ha desiderato di essere liberato dalle passioni che avvertiva, ma ha desiderato piuttosto mettere insieme la vivacità della sua interiorità con l’espressione evangelica che descrive Gesù come «mite ed umile di cuore»19. Quando si mette a contemplare quella pagina del Vangelo, Francesco avvia un grande processo interiore con il fine di convertire la sua interiorità, senza mozzarla, senza far finta che essa non vi sia. Egli guarda con serenità le forme emotive che lo coinvolgono: considera la rabbia e l’aggressività, tiene in conto il piacere e l’indignazione. Nulla viene eliminato dal novero del suo sentire. Egli desidera convertire! Il santo ha dedicato tante sue energie a questo processo, tanto da divenire un “mediatore e uomo di dialogo” nei confronti degli eretici. Egli, dopo aver accostato le pagine di Vangelo alla sua vita, cambia il proprio modo di procedere. Questo per noi diviene un insegnamento nel campo della preghiera.
Alcune volte desideriamo apparire agli occhi del Signore come uomini e donne compiuti, mettendo in gioco gli atteggiamenti che meglio dicono il nostro desiderio di seguire il Signore. Se questo si irrigidisse e divenisse impedimento nella conoscenza di noi stessi, difficilmente noi potremmo dirci uomini e donne di preghiera. La preghiera è condivisione di tutto ciò che si muove, anche quello che si muove nella “pancia”. Sebbene questo non sia sempre nobile e ci conduca a sentire ciò che non vorremmo, è comunque da portare al Signore. Se pensiamo che Dio abbia timore della nostra rabbia o della nostra indignazione, ci portiamo fuori strada. Dio non ha paura di quello che si muove nella nostra “pancia” e noi abbiamo bisogno di raccontarlo al Signore, non perché lui non lo sappia, ma perché noi possiamo divenire realmente consapevoli della nostra identità attraverso il modo in cui guardiamo a noi stessi e siamo in grado di raccontarci agli altri, in primo luogo a Dio. A tal proposito possiamo interrogarci e chiederci:
- – Accetto di portare nella preghiera tutto quello che sento?
- – Mi imbarazzo di quello che si presenta nella preghiera?
- – Questo possibile sentimento di imbarazzo lo riconosco come mio oppure lo attribuisco
anche a Dio?
- – Riesco a presentare al Signore la paura e la rabbia oppure desidero narrare solo quello che
ritengo sia buono?
17 FRANCESCO, Lettera apostolica nel IV centenario della morte di San Francesco di Sales Totum amoris est (28 Dicembre 2022).
18 M. WIRTH, San Francesco di Sales. Un progetto di formazione integrale, LAS, Roma 2021, 42. 19 Mt 11,29.
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5. La vera devozione
Sulla devozione due aspetti chiedono di essere compresi anche oggi e rilanciati. Il primo riguarda l’idea stessa di devozione, il secondo, il suo carattere universale e popolare. Indicare,
anzitutto, cosa si intenda per devozione, è la prima attenzione che troviamo all’inizio di
«È necessario, prima di tutto, che tu sappia che cos’è la virtù della devozione. Di vera ce n’è una sola, ma di false e vane ce ne sono tante; e se non sai distinguere la vera, puoi cadere in
errore e perdere tempo correndo dietro a qualche devozione assurda e superstiziosa».
La novità
e la verità della devozione, invece, si trovano altrove, in una radice profondamente legata alla vita divina in noi. In tal modo «la vera e viva devozione […] esige l’amore di Dio, anzi non è altro che un vero amore di Dio; non un amore genericamente inteso». Nella sua fervente immaginazione essa non è che, «a dirla in breve, una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto».Per questo essa non si pone accanto alla carità, ma è una sua manifestazione e, insieme, conduce ad essa. È come una fiamma rispetto al fuoco: ne ravviva
l’intensità, senza mutarne la qualità.
[…]
Tutto questo ha condotto il santo Vescovo a
considerare la vita cristiana nella sua interezza come «l’estasi dell’azione e della vita». Essa, però, non va confusa con una facile fuga o una ritirata intimistica, tanto meno con
un’obbedienza triste e grigia20.
Uno dei pilastri dell’insegnamento di san Francesco di Sales circa la preghiera è quello che riguarda la vera devozione. Mentre oggi intendiamo con questo termine le espressioni, cariche di manifestazione dal carattere popolare, il vescovo di Ginevra intende con questo termine l’intero cammino che porta alla santità. Si potrebbe dire che con questa parola egli sintetizza l’atteggiamento che un discepolo di ogni tempo dovrebbe abbracciare nei riguardi del Signore. È da tenere in considerazione che Francesco di Sales si muove in un contesto in cui la spiritualità abituale era quella tradizionale, di ispirazione monastica. Questa, anche a causa di alcune derive a lui coeve, rischiava di divenire una spiritualità astratta. Lungi da tale prospettiva, il vescovo di Ginevra è assertore di una spiritualità in stretto rapporto con la vita. Egli crede che sia lo scenario quotidiano, per come esso si presenta, quello in cui bisogna vivere la relazione con il Signore.
Questo principio-guida credo possa anche aiutarci ad osservare le nostre pratiche di devozione. Ritorno per un attimo al termine di uso comune, che si ricollega anche alle diverse espressioni della nostra pietà popolare. Credo che la vita di un terziario sia giustamente scandita pure da quegli appuntamenti di pietà, legati alla spiritualità dell’ordine oppure alle ricorrenze che sono collegate a san Francesco di Paola. Il santo vescovo di Ginevra credo abbia una buona parola da dire in ordine alla prospettiva che si assume nel vivere questa dimensione della vita spirituale: spesse volte avvertiamo la tentazione di eludere questa forma dalla nostra preghiera, ma credo che questo sia poco maturo, soprattutto per chi vive una forma di spiritualità terziaria. Credo sia più fruttuoso leggere il modo in cui abitiamo questa forma di orazione ed interrogarci a quali effetti essa ci conduce. Se la nostra devozione e la nostra pietà ci allontanassero dalla vita ordinaria, potremmo dedurre con facilità che qualcosa nel processo non ha funzionato.
Il maestro di vita spirituale ci ha fornito – come ha indicato il Papa – un punto prospettico interessante: la vera devozione, essendo l’espressione dell’amore per Dio, deve necessariamente costituire il nutrimento del fuoco della carità. Un’orazione che dice un’identità, come può essere quella del terziario minimo, ma che non conduce ad un rinnovamento della vita quotidiana può essere definita realmente preghiera? Credo sia, quindi, opportuno procedere ad interrogarsi circa la forma della nostra devozione. Mi sento di dire che un criterio da osservare, alla luce dell’esperienza del santo vescovo, riguardi proprio la presenza della Parola di Dio nella nostra preghiera di devozione. È necessario riconoscere un rischio nella nostra preghiera personale: quello di condurre
20 FRANCESCO, Lettera apostolica nel IV centenario della morte di San Francesco di Sales Totum amoris est (28 Dicembre 2022).
Filotea:
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un’orazione che segua perfettamente i ritmi segnalati dalle rubriche, ma che tralasci di essere animata dalla Parola, che custodisce invece una forza propulsiva non trascurabile per il cammino cristiano. Già papa Benedetto XVI nella sua Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini aveva trasmesso l’invito a fare un continuo riferimento alla Parola di Dio in ogni esperienza di preghiera, in ogni dimensione pastorale ecclesiale21.
Questo criterio credo possa essere di aiuto anche nella revisione del modo in cui viviamo l’espressione della nostra devozione: per far sì che le devozioni siano un servizio reso alla vera devozione è necessario che queste siano animate dalla Parola. Se la devozione non riesce a presentarsi come un ponte tra la Parola e la vita, quale missione le stiamo chiedendo di compiere? La devozione non è la costruzione di una caverna in cui rifugiarsi quando la vita vive una burrasca: la devozione consiste piuttosto nell’inserire la Parola di pace nella burrasca della nostra vita, significa irrorare ogni scena della nostra vita con la parola buona che viene dal Vangelo. Credo sia, quindi, utile chiederci in ordine al nostro modo di pregare, soprattutto a quello legato alle nostre devozioni:
- – Qual è il risultato di questa forma di preghiera?
- – Le devozioni che vivo sono realmente in grado di toccare il mio cuore e di parlare alla mia
vita?
- – Mi mettono in ascolto della Parola di Dio?
- – Mi fanno cogliere che quella Parola è indirizzata a me e ha da dire realmente alla mia storia?
6. Conclusione
In questo percorso abbiamo semplicemente provato a mettere in rilievo dei passaggi della Lettera apostolica di papa Francesco, ponendoli in dialogo con alcuni eventi della vita di san Francesco di Sales e facendo sorgere da questo confronto degli interrogativi che possano mettere in gioco il nostro modo di pregare. Francesco di Sales in questo cammino si è mostrato guida autorevole: lui, che ha accompagnato spiritualmente tanti uomini e tante donne desiderose di cercare e trovare Dio in ogni cosa, credo possa essere anche per noi punto di riferimento. L’idea che ha dato origine alla struttura di questo intervento è quella di generare alcune domande. Partendo dalla consapevolezza che una riflessione può certamente trasmettere dei contenuti, ma non è in grado di fornire delle risposte che possano essere adeguate alle diverse situazioni, ho ritenuto più opportuno pormi con voi in ascolto delle provocazioni contenute nella lettera apostolica e far sorgere direttamente dal testo alcune domande che – se lo ritenete – possono continuare ad accompagnarvi nelle meditazione personale. L’augurio è quello di ascoltare le intuizioni di Francesco di Sales e di porle in dialogo con le diverse esperienze della nostra preghiera. Nella misura in cui sapremo accogliere l’esperienza di Francesco di Sales, divenuta per noi normativa per via della sua santità di vita riconosciuta dalla Chiesa, credo che potremo dirci in cammino verso una sempre maggiore accoglienza della volontà di Dio. A noi il compito di mantenere ferma la consapevolezza nelle diverse circostanze della vita che proprio “tutto appartiene all’amore”.
21 Cfr. BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica postsinodale sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa Verbum Domini (30 Settembre 2010), nn. 72-89.
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