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Formazione Unitaria / Prima tappa: “Tenendo fisso lo sguardo su Gesù”. Riflessione, proposta da Graziella Giordano Alaimo della Fraternità TOM di Palermo

 

L’itinerario che ci viene proposto quest’anno in linea anche con le sollecitazioni di Papa Fran-cesco, privilegia la dimensione contemplativa del nostro carisma, cioè la preghiera, rimandando in tempi successivi all’aspetto caritatevole, ossia al frutto che da essa discende e che consiste nel met-tersi in stato di servizio ai fratelli. Santa Teresa d’Avila nel suo “Cammino di perfezione” così scrive: “Oh Signore, tutto il male ci viene dal non tenere lo sguardo fisso su di voi, perché se non guardassimo ad altro che al cammino, arriveremmo presto, ma incorriamo in mille cadute, in mille inciampi e sbagliamo la strada per non tenere gli occhi – ripeto- sul vero cammino” Ma, cosa dobbiamo intendere per contemplazione? Poiché Dio non comunica attraverso i sensi ma attraverso l’atto contemplativo, come l’ha mirabilmente definita San Giovanni della Croce, la “contemplazione” è il movimento ascensionale dalla notte oscura, come egli la chiama, fino alla notte felice e beata dell’unione divina”. L’anima comincia ad imparare, senza che se ne avveda, ad uscire dalla sua parte sensitiva, libe-randosi dai vizi capitali e dai piaceri materiali.

Quando essa indossava l’abito di festa, quando, cioè, si sentiva appagata da ciò che faceva, ignorava completamente di essere meschina: adesso, invece, che nel cammino verso l’altro, si è messa l’abito di lavoro, ha cioè sperimentato le prove della fede, si è riconosciuta per quello0 che è veramente, prende coscienza, cos, della sua miseria. “Voi siete chiamati ad essere i servi fedeli di Dio e coloro i quali ripongono il Lui il loro cuore” ci ammonisce la Regola del TOM. Quale privilegio. Vi abbiamo mai riflettuto abbastanza? In realtà questa tensione e vocazione dell’uomo, e vieppiù per noi terziari, a qualcosa che lo trascende, non richiede, forse, per essere capita e accolta, uno spazio di silenzio, un’attitudine contemplativa? Ma a ciò si oppone la molteplicità e l’urgenza delle incombenze quotidiane, che tendono a dividere l’uomo, a sommergerlo nelle preoccupazioni e a stordirlo con mille sensazioni diverse, come le spine tendono a soffocare il germoglio (Lc 8,14; 10,40-42). Occorre un’opera di discernimento, di purificazione di riorientamento in un senso spiccata-mente cristiano; occorre l’interruzione del frastuono per fare luogo all’ascolto. L’uomo di oggi, nel relazionarsi al silenzio oscilla tra il fascino e la paura. Il fascino del mistero e l’orrore del vuoto. In termini poetici questa realtà è stata anticipata da Alfred de Vigny: “Solo il silenzio è grande; tutto il resto è debolezza”. Ma l’ansia della vita non è la legge suprema, non è una condanna inevitabile. Essa deve essere tinta da quel senso più profondo dell’essere dell’uomo, da un ritorno alle radici dell’esistenza che ci permetterà di guardare con più fermezza e serenità ai gravi problemi che assillano questo nostro tempo. Silenzio, ascolto della parola, preghiera, respiro contemplativo sono atteggiamenti interiori che non ci iesolano dalla realtà della Chiesa e del mondo, ma ci orientano ad immergerci nel mistero del Cristo morto risorto per riscopre quella gratuità dei doni che abbiamo ricevuto per cui dobbiamo tutta la nostra gratitudine. Se in principio c’era la Parola e da essa è cominciata ad avverarsi la nostra redenzione, all’inizio della nostra storia personale di salvezza ci deve essere il silenzio, il silenzio che ascolta, che accoglie, che opera. L’uomo “nuovo”, il terziario in particolare, che sa vedere l’Invisibile, sa che il vuoto non c’è ed il nulla è vinto da colui che ha vinto il mondo, perciò, dicevamo prima, il terziario aspira ad avere per sé uno spazio tutto suo per percepire ed accogliere la voce del Padre.
Ma, attenzione! L’uomo “vecchio”, che ha paura del silenzio e l’uomo nuovo (il terziario) soli-tamente vivono in noi, lottando tra loro perché ciascuno di noi è impietosamente aggredito da una moltitudine di parole, di suoni, di rumori, voci, grida, notizie che riempiono il nostro giorno e popo-lano di fantasmi le nostre notti. In questo clamore, se vogliamo avere il sopravvento, dobbiamo lottare per assicurare alla no-stra anima quel silenzio di circa mezz’ora di cui parla l’Apocalisse (8,1) e che sia un silenzio vero, colmo della presenza risonante della Parola, teso l’ascolto, aperto alla comunione.
Troveremo, così, nella preghiera quel tesoro nascosto nel campo della nostra vita. Mentre ciò che occorre fare è di non considerare la preghiera quel qualcosa da compiere assi-milandola alle altre, occorre essere convinti che la preghiera, sia per il primo stadio, come semplice orazione, indissociabile dalla esistenza cristiana autentica e che da essa è desiderabile ascendere alla preghiera contemplativa, laddove “le parole non sono discorsi, ma come ramoscelli che alimentano il fuoco dell’amore” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2717). La preghiera contemplativa è uno sguardo di fede, fissato su Gesù. “Io lo guardo ed Egli mi guarda” diceva il contadino di Ars al tempo del suo santo curato, davanti al tabernacolo.
Allora le parole non servono più, neppure le preghiere, né le meditazioni: basta bearsi della presenza di Dio! Il mistero di Cristo è celebrato nella Chiesa nell’Eucarestia e lo Spirito Santo lo fa vivere nella preghiera contemplativa. Ed è ancora Santa Teresa che definisce la preghiera contemplativa come “un intimo rapporto di amicizia, nel quale ci si intrattiene da soli con Dio da cui ci si sa amati. Parliamo a Lui, lo supplichiamo, ci umiliamo ed insieme ci deliziamo con Lui. Quando un’anima può fare ciò, anche se è al principio della pratica di orazione, ne trarrà grande profitto, perché questo modo di pregare è assai vantaggioso, ci dice il Libro della Vita, di Santa Teresa. Come pregare. Spesso pensiamo che sia importante cominciare a pregare iniziando con un segno di croce, ma ciò si ritiene essere un modo sbagliato di avviare il dialogo con Dio perché “significa lanciarsi in una avventura senza la dovuta preparazione” (Card. Martini)
Ciò che conta è che dobbiamo avere la consapevolezza di non essere capaci di pregare se non invocando lo Spirito che ci guidi a pregare. È necessario, pertanto, entrare nella preghiera come as-solutamente poveri, in uno stato di totale spoliazione, di assenza di pretese: ”Signore non sono ca-pace di pregare e se tu permetterai che io sia davanti a Te in uno stato di aridità, di attesa, ebbene, benedirò questa attesa, perché Tu sei troppo grande perché io possa comprendere, Tu bontà infinita, io peccatore, ma non guardare alla mia nullità, muoviti a pietà di me” … Questo è lo stato che emerge da molti Salmi, veri modelli di preghiera che spetta a noi memorizzare. Non esitiamo ad entrare nella situazione del cieco che supplica “Signore, che io riabbia la vista “e comprendere e pronunciare le parole che lo Spirito ci suggerisce.
Ricordiamo la lettera ai Romani “Lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi” (Rom 8, 26-27) ed è proprio questo che differenzia la preghiera cristiana dalla preghiera di tutte le altre religioni.
Uno dei più grandi esegeti dell’evangelista Giovanni, padre Donatien Mollat, s.j, ne trovava la differenza al cap. IV laddove si parla di “preghiera in Spirito e verità”. Verità significa Dio Padre che si rivela in Cristo.
La preghiera cristiana è dono diretto di Dio, che ci manda lo Spirito, che a sua volta ci fa il dono di pregare nella Verità, cioè nella rivelazione che il Padre fa di se stesso in Gesù.
Ed ancora, la preghiera ci cambia la vita, poiché la trasforma in opere concrete, Preghiera e servizio sono un binomio inscindibile. Possiamo esprimerlo anche così: la vita deve mettersi a servizio dell’orazione, cosa che suppone una radicale revisione di tutto il nostro stile di vita. Con ciò l’orazione diventa il criterio decisivo delle scelte fondamentali della nostra esistenza. “Si prega come si vive perché si vive come si prega” (cfr Catechismo Chiesa Cattolica 2725-2752).
Se non si vuole abitualmente agire secondo lo Spirito di Cristo, non si può nemmeno abitual-mente pregare nel suo nome. Maria è esempio mirabile di preghiera ed azione.