26 novembre
(Gen 23, 1-4.19))
Siamo così giunti alla conclusione del cammino di Abramo su cui abbiamo gettato tre flash. Il primo al momento della sua chiamata, il secondo all’inaugurazione del nuovo culto, ed oggi al compimento della pro-messa. Abramo è un patriarca dell’ebraismo, del cristiane- simo e dell’islam. La sua storia è narrata nel Libro della Genesi ed è ripresa nel Corano. Quando parliamo di storia riferita ad eventi tanto lontani (circa 4000 anni fa) non possiamo intenderla come facciamo oggi basata su documenti certi. Per Gerhard von Rad (pastore luterano e docente universitario, esperto dell’Antico Testamento) i patriarchi sono figure non reali filtrate attraverso la fede di Israele e la storia della salvezza. Le ultime scoperte archeologiche e letterarie non ci per- mettono di rifare una storia documentata degli eventi biblici narrati nel libro della Genesi, ma ci danno testimonianze parallele.
Questo periodo storico è caratterizzato da grandi ondate migratorie nella regione siro-palestinese. Leggiamo in Dt 26, 5: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e nume- rosa.”
Il Pio Israelita professa la sua identità: “Mio padre era un Arameo errante”. Questa è la memoria di una migranza originaria, una migranza costitutiva per tutto il popolo. Questo essere migrante caratterizza le origini di Israele, a partire da Abramo, l’uomo che lascia la propria terra per andare verso la terra della promessa. La consapevolezza di essere forestieri significa ricordare che la terra dove si abita è ricevuta in dono, e non solo, anche le relazioni con i fratelli sulla terra sono ricevute in dono; il forestiero nella Scrittura è colui che dipende dal dono di Dio (che “ama il forestiero e gli dà pane e vestito”) e dei fratelli (il forestiero riceve le de- cime, vengono lasciati per lui nei campi parti del raccolto, parte dei frutti della vigna…).
L’esperienza del nomadismo e dei semi-nomadismo dei padri d’Israele (Abramo, Isacco e Giacobbe), ha fatto sì che il «Dio dei padri» fosse appunto un Dio di «qualcuno», non tanto di una località, di un luogo sacro. Il Dio rivelato della Bibbia è il «Dio dell’altro», che lega la sua presenza alle persone. Ora l’esperienza dei padri è normante e decisiva per tutto l’Israele successivo. E la loro esperienza è quella di chi non ha stabile dimora, di colui che deve dire di sé stesso. «Io sono straniero e di passaggio» (Gen. 23,4).
La lettera agli Ebrei, rileggendo l’esperienza di Abramo, Isacco e Giacobbe, coglie questo aspetto di fede vissuta come cammino in obbedienza alla parola di Dio e come essere stranieri: «Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della stessa promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (Eb 11,8-10). Questa esperienza di essere stranieri sarà sempre presente nel cuore del credente, anche dopo la sedentarizzazione e l’installazione nella terra promessa. Lo mostra fra le diverse testimonianze, la preghiera di Da- vide «Tutto proviene da te, Signore; noi, dopo averlo ricevuto dalla tua mano, te l’abbiamo ridato. Noi siamo stranieri davanti a te e pellegrini come tutti i nostri padri. Come un’ombra sono i nostri giorni sulla terra e Papa Benedetto XVI, nell’Udienza generale del 23 gennaio 2013 afferma:
“La benedizione, nella Sacra Scrittura, è collegata primariamente al dono della vita che viene da Dio e si manifesta innanzitutto nella fecondità, in una vita che si moltiplica, passando di generazione in generazione. E alla benedizione è collegata anche l’esperienza del possesso di una terra, di un luogo stabile in cui vivere e non c’è speranza» (Cr 29,15).
crescere in libertà e sicurezza, temendo Dio e costruendo una società di uomini fedeli all’Alleanza, «regno di sacerdoti e nazione santa» (cfr. Es 19,6).
Perciò Abramo, nel progetto divino, è destinato a diventare «padre di una moltitudine di popoli» (Gen 17,5; cfr Rm 4,17-18) e ad entrare in una nuova terra dove abitare. Il paese verso cui Dio lo conduce è lontano dalla sua terra d’origine, è già abitato da altre popolazioni, e non gli apparterrà mai veramente. La terra che Dio dona ad Abramo non gli appartiene, egli è uno straniero e tale resterà sempre, con tutto ciò che questo comporta: non avere mire di possesso, sentire sempre la propria povertà, vedere tutto come dono.”
Sottolinea il Papa Emerito: “Questa è anche la con- dizione spirituale di chi accetta di seguire il Signore, di chi decide di partire accogliendo la sua chiamata, sotto il segno della sua invisibile ma potente benedizione. E Abramo, “padre dei credenti”, accetta questa chiamata, nella fede.”
La fede conduce Abramo a percorrere un cammino paradossale. Egli sarà benedetto ma senza i segni visi- bili della benedizione: riceve la promessa di diventare grande popolo, ma con una vita segnata dalla sterilità della moglie Sara; viene condotto in una nuova patria ma vi dovrà vivere come straniero; e l’unico possesso della terra che gli sarà consentito sarà quello di un pezzo di terreno per seppellirvi Sara (cfr Gen 23,1-20). Abramo è benedetto perché, nella fede, sa discernere la benedizione divina andando al di là delle apparenze, confidando nella presenza di Dio anche quando le sue vie gli appaiono misteriose. Abramo, il credente, ci insegna la fede e, da straniero sulla terra, ci indica la vera patria. La fede ci rende pellegrini sulla terra, inseriti nel mondo e nella storia, ma in cammino verso la patria celeste.”
Papa Francesco ci dà ancora qualche precisazione:
Cominciando da Abramo Dio forma un popolo per- ché porti la sua benedizione a tutte le famiglie della terra.
Non è Abramo a costituire attorno a sé un popolo, ma è Dio a dare vita a questo popolo: è Dio stesso che bussa alla porta di Abramo e gli dice: vai avanti, vattene dalla tua terra, incomincia a camminare e io farò di te un grande popolo. Così Dio forma un popolo con tutti coloro che ascoltano la sua Parola e che si mettono in cammino, fidandosi di Lui. L’amore di Dio precede tutto. Dio sempre è primo, arriva prima di noi, Lui ci precede. Quando noi arriviamo Lui ci aspetta, Lui ci chiama, Lui ci fa camminare. Sempre è in anticipo ri- spetto a noi. E questo si chiama amore, perché Dio ci aspetta sempre. Abramo e i suoi ascoltano la chiamata di Dio e si mettono in cammino, nonostante non sappiano bene chi sia questo Dio e dove li voglia condurre. Dio gli fa sentire l’amore e lui si fida.
Questo però non significa che questa gente sia sempre convinta e fedele. Anzi, fin dall’inizio ci sono le resistenze, il ripiegamento su sé stessi e sui propri interessi e la tentazione di mercanteggiare con Dio e risolvere le cose a modo proprio. Dio, però, non si stanca, Dio ha pazienza, ha tanta pazienza, e nel tempo continua a educare e a formare il suo popolo, come un padre con il proprio figlio. Dio cammina con noi e quando ci riconosciamo peccatori, Dio ci riempie della sua misericordia e del Come per i martedì precedenti chiudo con un pensiero del nostro Santo Padre Francesco, Fondatore:
“Pregate ogni giorno per la pace e la concordia, tanto necessari a tutti e se Dio non ci riguarda, quanto prima, con occhio di misericordia, corriamo il rischio di vedere grandi miserie.”
Le catechesi del martedì sera nella Chiesa di San Francesco di Paola a Palermo
di F. Romeo (tratto da App Charitas del 30.11.2019)