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Beato Francesco Maria Greco, terziario minimo

13 gennaio: La famiglia dell’Ordine dei Minimi e l’Arcidiocesi di Cosenza – Bisignano celebra la memoria liturgica del Beato Francesco Maria Greco, sacerdote, fondatore e Terziario dell’Ordine dei Minimi. Riproponiamo a seguire, lo scritto della consorella Mavina Morosini che racconta il legame tra il Beato e il nostro Fondatore.

 

Il Beato Francesco Maria Greco e San Francesco di Paola

 

La conformazione oro-geografica di Acri ha dato luogo a un paese isolato scelto come rifugio sicuro per popolazioni in fuga da persecuzioni dalla Grecia. Questo fenomeno aiuta a ipotizzare come nel tempo sia stata possibile la presenza di più Ordini religiosi, Padri Predicatori, Cappuccini, Agostiniani e Minimi, che vi approdarono e ne addolcirono con gli strumenti della religione e dell’alfabetizzazione la natura degli abitanti.

Del fondatore dei Minimi, Francesco di Paola, il Greco portò il nome e, conoscendo la vita del grande Taumaturgo calabrese, fu naturale per i devoti genitori mettere il bimbo sotto la protezione anche di San Francesco di Assisi. Chiedersi se c’è alcun rapporto tra il neo beato e l’Ordine dei Minimi è una domanda da cui non si può aspettare che una risposta ovvia. Per tutti i calabresi, infatti, è scontato il culto per il santo definito dalla Conferenza Calabra ”il più santo dei calabresi e il più calabrese dei santi”. È un dato certo che, comunque, la devozione al santo inculcata dai genitori al fonte battesimale diventa un elemento facilmente riscontrabile nello svolgersi degli avvenimenti della sua vita e nella formazione di sentimenti, ideali, progetti, scelta di vita e infine carisma della congregazione da lui fondata.

Il rapporto tra il Greco e l’Ordine dei Minimi per gli studiosi dovrà costituire certamente un filone di indagine stimolante, perché sono molti i punti di contatto nella narrazione degli episodi interessanti la sua vita, ma soprattutto la sua spiritualità. Alcuni di questi vanno riscontrati semplicemente facendo ricorso alla storia degli avvenimenti, altri vanno fatti emergere scandagliando gli scritti inerenti la scelta religiosa da lui operata e come questa abbia illuminato e motivato l’iter del suo apostolato religioso.

Il nome Francesco, dunque, gli fu imposto al fonte battesimale il 28 luglio 1857 nella Chiesa di Santa Chiara come segno di devozione verso il Santo di Assisi e quello di Paola. Non è ardito pensare che, per una sorta di tifoseria locale, quello verso il paolano era certamente più sentito, visto che nell’immaginario collettivo il culto verso il Santo di Paola si esprimeva in forme determinate da paure e da convinzioni, secondo le quali i fenomeni negativi che accadevano nella società venivano interpretati come una sorta di vendetta esercitata dai santi per la scarsa devozione dell’uomo verso di loro. E forse più che amare il penitente della carità, S. Francesco era temuto per l’uso del bastone che nell’immaginario collettivo adoperava di notte per punire i cattivi e ”cattivi” ad Acri ce n’erano troppi, se accreditiamo l’espressione dello scrittore V. Padula che ebbe a definirlo ” barbara, maligna e feroce”.

Nella famiglia di appartenenza uno zio paterno, Pietro, era religioso dell’Ordine dei Minimi e nel Convento dei Minimi di Santa Maria della Stella, a Napoli, lo studente Greco fu ospite per un certo periodo allorquando si trasferì ivi per conseguire la maturità classica.

Nel testo del prof. Giulio Vecchio (Francesco Maria Greco, prete calabrese. Spiritualità, azione pastorale e sociale 1857-1931) si leggono alcune citazioni importanti dalle quali si deduce che il Greco fu a Paola per gli esercizi Spirituali dal 19 giugno 1926 e nel novembre del 1926, ospite dei Padri Minimi di S. Maria della Stella, a Napoli, dove era stato ospite ai tempi degli studi liceali.

Sempre nello stesso testo, alla nota 54, pag. 37, si ha notizia di una lettera (APOSCR, n.1142), datata 31 agosto 1927 e indirizzata al suo vescovo, mons. Salvatore Scanu, in cui gli comunica che l’anno precedente (quindi, 1926) aveva inoltrato richiesta di essere aggregato al Terz’Ordine dei Minimi nella prospettiva di dar vita nel suo paese ad una Fraternità dello stesso, con preghiera, rivolta al M.R.P. Raffaele Vajano, Correttore del convento di S. Maria della Stella di Napoli di riceverlo, dopo il Congresso (primo del TOM tenuto a Roma dal 28 agosto al 2 settembre 1926 ).

Nell’archivio del periodico Charitas del terz’Ordine alle pagg. 36-37 del n.1 Gennaio Febbraio Marzo 1928 si dà comunicazione che “Dal p. Generale furono concesse le facoltà per erigere canonicamente le Congregazioni terziari ai seguenti Reverendissimi sacerdoti. Attendiamo da Loro il resoconto della erezione e del funzionamento della Congregazione stessa…” Segue un lungo elenco e tra i tanti figura il R.mo Monsignor Francesco Maria Greco Acri (Cosenza).

Sempre nello stesso periodico (pag. 34 Anno 1 marzo aprile n.3-4 del 1926), a testimonianza della devozione al Santo Taumaturgo, è annotata una richiesta di preghiere a S. Francesco di Paola da parte del Greco, volta ad impetrare da Dio la grazia di guarigione di Raffaella De Vincenti, cofondatrice dell’Opera delle operaie.

Prima del rientro definitivo ad Acri, dopo avere assunto il sacro ministero sacerdotale, fece sosta nel convento dei Minimi a Paola per pregare.

Si cita il fatto che la soluzione delle pratiche per la erigenda Opera delle Operaie lo portò ad intrecciarsi con la travagliata storia del convento dei Minimi soppresso per effetto delle leggi borboniche e poi assunto in proprietà dal Comune di Acri.

Pare che ci siano sufficienti elementi inconfutabili per attestare la vicinanza religiosa e affettiva con l’Ordine dei Minimi e che rimane una pietra miliare nel percorso della sua formazione spirituale. Nel prosieguo degli anni gli stessi vengono accostati alle scelte fatte nell’ambito della sua specifica formazione e alla definitiva scelta sacerdotale avvenuta a Napoli nel clima del risveglio della devozione ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Fu grazie alle esperienze maturate a Napoli, il contatto con splendide figure di sacerdoti e di laici impegnati ( Concilio Vaticano I) e lo spettacolo triste delle vittime umane del colera scoppiato nella città di Napoli che spinse don Francesco ad orientare le sue scelte definitive verso un operoso apostolato attivo verso la sua gente, di Acri e del meridione in genere.

In attesa che vengano portati alla luce ulteriori documenti e vagliati con rigore scientifico, si possono ritenere bastevoli per affrontare un discorso più ampio sulla spiritualità del parroco di Acri e dell’influenza esercitata dal carisma del Santo Fondatore di Paola Anche la probabile e suggestionante paura del bastone con la quale nel contesto acrese si riportavano i bambini a miti consigli, potrebbe avere lasciato il segno, se si considera che la paura del bambino Francesco, filtrata ed esaminata attraverso la conoscenza delle Regole dei Minimi e soprattutto la raccomandazione che il Fondatore lasciò scritta per Frati, Monache e Laici di non abbandonare l’aratro, divenne una regola di vita anche per lui. Era solito, raccontano le cronache che lo riguardano, tenere un Diario in cui non solo annotava tutte le sue azioni, ma esercitava una sorta di controllo a posteriori per esaminare la sua capacità di sapere osservare gli impegni assunti, di perseverare nel bene e, in caso contrario di impegnarsi ad emendare le manchevolezze rilevate. È il forte richiamo all’assunzione di responsabilità del “burbero” santo paolano che prima di concedere una grazia incitava il richiedente con un forte richiamo ”Va’ pulisci la tua casa…”.

Il carattere timido e riservato di don Francesco non si ferma dinanzi ai prorompenti progetti che fermentavano nella sua mente ”Si pro me Deus et Maria, quis contra me?”. Non c’è tempo e motivo per fermarsi. Forse (?) alle sue orecchie risuonavano forti le parole del paolano: ”A chi ama Dio tutto è possibile”. Certo la personalità del Greco è diversa da quella del paolano e soprattutto i tempi sono cambiati, ma c’è un dato che è comune a tutti i santi della storia della Chiesa: la CARITÀ.

Il cuore dell’eremita palpitava in sintonia col cuore di Gesù e di Maria e questo amore traboccante lo riversò a piene mani nella Charitas effigiata nel suo stemma, non a caso presentatogli del principe degli Arcangeli, san Michele. Ma la carità non è tale se non si riversa con altrettanta abbondanza sui deboli, sugli oppressi, senza paura, senza timore di qualunque ostacolo. La carità, dal Cuore di Gesù e di Maria, intensamente contemplata da Francesco di Paola cerca sbocco anche nel cuore e nella mente di don Francesco per essere diffusa ampiamente a beneficio di quanti soffrono. Certo il contesto storico e sociale è molto diverso e per questo cerca ancora nella organizzazione dell’Ordine dei Minimi uno spiraglio per essere francescano nei modi che lo Spirito gli soffiava dentro. Forse, e lo ripetiamo con l’auspicio che studiosi seri e generosi si accingano a studiare tutti i risvolti possibili della sua spiritualità, ripeto, forse, l’istituzione degli Aggregati laici da lui chiamati a collaborare con le Piccole Operaie, ognuno con il proprio carisma, ma uniti nella fedeltà e nell’amore di Cristo Crocifisso, richiama la sua richiesta di aprire una sezione del Terz’Ordine nel suo paese?

Un esame delle Regole lasciate alle Piccole Operaie mette in luce molti richiami alle prescrizioni incluse nella Regola nel Terz’Ordine dei Minimi. Parole come sobrietà, povertà, cibi quaresimali, sguardo basso e assunzione di riflessi di mente sempre orante, in contemplazione perenne del Cristo Crocifisso, quale fu riconosciuto a S. Francesco in tutta la sua vita, ovunque fosse andato.

In don Francesco lo Spirito Santo riversò la sovrabbondanza di amore posandosi, mutuando la incisiva e stupenda immagine del Manzoni, su un fiore che aveva tutti i connotati di una persona consapevole e compassionevole verso i mali che affliggevano la sua terra, ne ”suscita i colori, li ravviva” e lo spinge sulle strade impervie della Calabria predicando e portando la stessa Caritas di Francesco di Paola, smagliante ancora in uno stemma, quello di Videte et Gustate, sia pure circondato ancora da una corona di pungenti e dolorose spine.

Don Francesco per il bene del suo popolo si adopera nel pieno rispetto del Vangelo e della Chiesa perché la carità fosse riflessa nella pratica della vita cristiana dei Calabresi ai quali è demandato l’arduo compito di togliere qualche spina e fare rifulgere, finalmente la CHARITAS di tutti i Santi calabresi.

di Malvina Morosini (tratto da App Charitas del 13.01.2020)