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Paola, 4 maggio 2021 / W San Francesco. “Il quattro maggio è un giorno speciale”, queste le parole d’esordio nell’omelia della festa

 

OMELIA PER LA S. MESSA NELLA FESTA DI SAN FRANCESCO

Santuario di Paola, 4 Maggio 2021
Eccellenze Reverendissime, Mons. Morosini e Mons. Oliverio, Reverendissimi Padre Correttore Generale e Provinciale, Rev. Padre Domenico, Confratelli dell’Ordine dei Minimi, parroci della città ed amici del Santuario, religiose, consacrati, Signor Presidente della Regione, distinte autorità civili e militari, Sig. Sindaco, terziari minimi, devoti di san Francesco e fedeli tutti che siete qui in Chiesa o che assistete tramite TV nelle vostre case: Pace a voi. Sono in mezzo a voi con grande gioia e profondo senso di gratitudine verso la Comunità dei Frati Minimi che anche quest’anno mi hanno invitato a presiedere questa Solenne Celebrazione Eucaristica. Ormai ho imparato, come detto più volte, che il “quattro maggio” è un giorno speciale, non solo per i paolani, ma per tutta la nostra Diocesi e la nostra regione, che si sentono particolarmente accompagnate e protette dal nostro celeste Patrono, San Francesco di Paola. Come dimenticare l’immagine dello scorso anno di questa basilica, vuota, spoglia, provata dalla paura e dalle difficoltà della terribile pandemia, ma non priva di quella fiducia di ottenere da San Francesco il dono di sperare nella Provvidenza, che ha ispirato ed accompagnato tutta la sua vita terrena. E’ passato un anno: oggi siamo più numerosi, ma ancora più provati da una crisi sanitaria anzi, direi umanitaria, che ormai sta dilaniando il mondo intero ed in particolare la nostra Regione. Anche oggi, dunque, è un “quattro maggio” di paura, di sofferenza, di attesa, ma anche di speranza! L’essere riuniti per celebrare la festa di San Francesco ci ha ridonato la possibilità di ascoltare la parola di Dio, una parola di speranza che ci nutre e ci incoraggia, come è stato nella lunga esistenza terrena del nostro Santo.
“Si rallegri il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Felicità perenne splenderà e fuggiranno tristezza e pianto” (Is 35, 1. 10). Il profeta Isaia, nella prima lettura, annuncia la fine della sciagura che aveva ridotto il popolo d’Israele a schiavitù, che aveva scoraggiato il cammino di fede dei credenti, distrutto i tessuti sociali e privato gli uomini e le donne della gioia di vivere; un dramma che, in maniera analoga, stiamo vivendo anche noi oggi. Ma Dio ad essi promette la costruzione di una “strada appianata” che sarà chiamata “via santa”, per la quale i deportati ritorneranno con gioia ad abitare la loro terra. E’ forse un’utopia questo annuncio? Certamente no! Ma chi dovrà costruire praticamente

questo sentiero? Lo stesso popolo, gli uomini e le donne “amati dal Signore”, che si fideranno di Dio, delle sue promesse, della sua fedeltà, e nel suo nome costruiranno dove altri avevano sradicato: questa è la vocazione del credente chiamato alla Santità! I testimoni della fede, che veneriamo come modelli e protettori, ce lo hanno insegnato, con la loro grande fiducia nella Provvidenza.
Vorrei a questo proposito citare un famoso episodio della vita del taumaturgo paolano, riportato dall’Anonimo Cosentino e ripreso da Papa Leone X nella Bolla di canonizzazione.
L’episodio riguarda gli inizi dell’Ordine, quando i Discepoli di Francesco, affascinati dalla sua spiritualità, erano sempre più numerosi, e si era resa necessaria la costruzione di una chiesa e del romitorio che li ospitasse . Così scrive il Papa nel 1519:
“Si narra anche che un giorno gli apparve un religioso, con l’abito di San Francesco d’Assisi, che lo rimproverava perché aveva incominciato a costruire una chiesa molto piccola, comandandogli di abbatterla, ed indicandogli allo stesso tempo una più spaziosa; e poiché il Beato Francesco gli manifestò la mancanza di mezzi per poter realizzare un tale edificio, l’altro gli rispose che non gli sarebbe mancato assolutamente l’aiuto di Dio onnipotente, e abbattute le mura dalle fondamenta, scomparve; molti dedussero a ragione che quello fosse San Francesco d’Assisi. Il giorno seguente giunse da Cosenza un nobile cavaliere che offrì al Beato un’ingente somma di oro e di argento per la costruzione della chiesa, con l’aiuto della quale poté con considerevole spesa incominciare la costruzione secondo il disegno tracciato, di notevole bellezze”.
Francesco d’Assisi e di Paola, al loro tempo, furono profeti della ri – costruzione della Chiesa. “Riparare la casa” o “costruirne una più grande”, senza grandi competenze, senza calcoli o tornaconti personali, diede loro la possibilità di edificare il regno di Dio, comunicarne la bellezza, lasciare che il messaggio del Vangelo di Cristo, mite ed umile di cuore, tornasse ad affascinare gli uomini, attraverso la povertà, la carità, l’obbedienza e l’umiltà. Quante persone hanno trovato e troveranno in questi luoghi il perdono, la conversione, l’aiuto spirituale e materiale, la pace!. E poi, raccontano i biografi del Santo, tutti accorrevano da Lui ad aiutare per la costruzione di questo luogo sacro, come attratti da un fascino irresistibile. Non c’era distinzione di classe tra i collaboratori: “sia gli uomini che le donne lavoravano con le loro mani, trasportando pietre nonostante i

vestiti lussuosi. Quanti erano nella possibilità di prestare il loro aiuto si reputavano felici”.
Carissimi, Francesco di Assisi e di Paola oggi più che mai ci invitano a fidarci della Provvidenza; anche a noi l’attuale pandemia chiede di affrontare la grande sfida della ri- costruzione. Il mondo intero, la nostra casa comune – come ci insegna il Papa- è da riparare, a cominciare dalle famiglie, dalle piccole comunità, dai piccoli nuclei sociali in cui viviamo ed operiamo. E’ una sfida che ci coinvolge tutti! Forse il dubbio e la paura di questo periodo non ci permettono, a livello personale, ma anche sociale e politico, di pensare a progetti di bene tanto rivoluzionari, coraggiosi, audaci. Anche Francesco di Paola ha vissuto questa paura, ma il Signore non lo ha lasciato solo ed ha rafforzato l’opera delle su mani.
Nell’apparizione del Santo di Assisi a Francesco vogliamo scorgere, nella continuità della scelta di vita religiosa, il dono della comunione dei Santi. Francesco di Assisi che, invocato dai genitori, aveva visitato e ottenuto la guarigione ad un occhio del santo paolano, compare nuovamente nella costruzione della culla dell’Ordine dei Minimi, quasi a dire: i tuoi genitori ti hanno affidato a me e io non ti lascerò mai solo! Chi ama Dio e il prossimo è in comunione, vive in comunione, diventa per il fratello un prezioso compagno di vita da accogliere, come hanno sperimentato i costruttori dei primi luoghi di questo santuario. Questo è il messaggio di quell’amore che ci ha descritto San Paolo nella seconda lettura, la “via santa”, la “via più sublime”, che il carisma dei Frati Minimi testimonia nel mondo: “La carità è magnanima, benevola; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (Cor 13, 4-6). Si è ripetuta spesso questa espressione: “uniti ce la faremo”: non è solo un modo di dire ma può diventare una regola di vita per la nostra società, che i Santi ci hanno insegnato a mettere in pratica edificando la città del cielo.
E’ vero, alcuni di noi stanno provando a ricominciare, a ricostruire, ma il cammino è duro e faticoso, non privo di sacrifici, ostacoli e sconfitte. Il macigno della malattia, della sofferenza e della morte incombe sulle nostre vite e su quella dei nostri cari. Si racconta che durante i lavori per le fondazioni della Chiesa gli operai trovarono un grosso macigno che impediva loro di proseguire il lavoro. Francesco, approfittando della pausa

meridiana, con la forza della preghiera, ottenne che il masso si spostasse da solo. Gli operai, al ritorno, non lo trovarono più nel posto dove l’avevano lasciato. Come anche la caduta di alcuni massi, oggi ancora visibili nel luogo dove sarebbero precipitati schiacciando gli operai, fu arrestata dalla forza della Preghiera di Francesco, che implorava: “fermatevi, per carità”.
Ecco come oggi San Francesco ci infonde coraggio nel ricostruire il mondo in cui viviamo: con la forza della fede, con la speranza nella Provvidenza e con la carità concreta ed operosa. Tutto ciò, per Lui, aveva origine dalla preghiera, dalla contemplazione di quella pietra rotolata dal sepolcro che è il più grande prodigio che il Signore ha compiuto per noi, da quel contatto vivo e vero con il Cristo Risorto, che oggi, nel Vangelo, ci ha esortati: “venite a me, voi tutti che siete stanchi ed oppressi, ed io vi ristorerò; il mio giogo è dolce e il mio peso leggero”. Quel “fuoco di carità”, che ha reso San Francesco “Luce della Calabria” si alimentava dalla forza rinnovatrice della Pasqua che insieme a Lui anche noi oggi celebriamo.
Questa stessa luce è stata descritta in maniera suggestiva e poetica da un altro Santo Calabrese, il prossimo Beato Francesco Mottola, che così parlava della legenda aurea della “Vampa” di San Francesco: “La vedi la vampa lassù ? No mamma, rispose il bambino. Fu così che la gente di Paola apprese che il Santo era morto. I bimbi lo dissero ai bimbi e le mamme alle mamme che la fiamma non ardeva più. Quella sera a Paola fu una serata di pianto: il Santo era morto; lo seppero tutti prima che la notizia arrivasse dalla Francia. Dopo S. Francesco qualche fiamma appena, ora da parecchi anni, nessuna fiamma. Ma tutti i nostri vecchi che conoscono la leggenda aurea mi hanno detto che se non risplende la fiamma, tuttavia in Calabria dappertutto ci sono semi di fiamma: basta cercarli, alimentarli perché risplendano in fiamma!
S. Francesco ritorna! Tu solo con la carità di Cristo, solo tu puoi adunare le sparse faville e alla Calabria che ti attende ogni giorno, dare unità di fiamma, dall’Aspromonte al Pollino, dall’Ionio al tirreno. E quella sera sul mare ardeva il tramonto, tutte le cose guardavano con occhio attonito il cielo, risentii la canzone sacra de l’Isca e mi parve di rivedere sulla montagna bruna la vampa di S. Francesco!” Questa, carissimi, è la visione di santi, dei semplici, dei bambini dal cuore puro e trasparente, ai quali noi vogliamo rassomigliare, per assaporare la grandezza degli umili ed essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio. Amen.