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Castellammare di Stabia / “Natale resta sempre un avvenimento lieto”. Meditazione di P. Gian Franco Scarpitta

 Castellammare di Stabia, 20 – 12 – 2020

Oggetto: Buon Natale

 Carissimi,
mi sento animato dal desiderio di condividere con voi queste considerazioni sul Natale, nella speranza che possano essere di supporto all’immedesimazione nella Festa che ogni anno ci rincuora tutti quanti, regalandoci famiglie un insolito senso di contentezza e di pacificazione interiore, non importa se noi siamo capaci di apprezzarlo e di valorizzarlo.

  Malgrado le restrizioni vigenti che ben conosciamo minaccino di farcelo vivere come un evento triste e sacrificato, il Natale resta sempre un avvenimento lieto. Nelle nostre chiese non ne faremo semplicemente commemorazione come di un fatto ormai lontano nel tempo e destinato a vivere solo negli ambiti stretti dei nostri ricordi; come vuole la liturgia, ne vivremo la memoria ma anche l’attualità, perché la nascita di Gesù ci si ripresenterà in tutta la sua portata attuale e avrà per noi gli stessi effetti edificanti e di salvezza che ebbe per i pastori, per i Magi e per tutti gli uomini amati dal Signore nel momento in cui essa ebbe luogo. Dice a tal proposito S. Alberto Magno:
“Non è infatti trascorso completamente quel giorno, nel senso che sia esaurita la sua azione nel valore, che allora si rivelò, e che a noi non sia giunto altro che la fama dell’avvenimento, oggetto della nostra fede e di una celebrazione commemorativa. Al contrario il dono di Dio si è sviluppato, sicchè quotidianamente il nostro tempo può sperimentare quanto si verificò in quel primo tempo.”
  Vivremo insomma l’attualità del Natale, la sua bellezza, la profondità di cui l’evento stesso è capace e faremo tesoro soprattutto dei benefici spirituali di cui siamo destinatari noi oggi, così come gli uomini di allora.
  Questo è peraltro il senso della Festa: non il solo ricordo di un evento passato, ma il suo ripresentarsi attuale a noi, che lo viviamo non come spettatori passivi ma come protagonisti interessati, avvinti dal suo fascino e dal suo mistero. Di questa Festa siamo invitati a protrarre gli effetti nel nostro animo, diventando apportatori della pace, della gioia e dello spirito di comunione che essa comporta, senza arrenderci alle ostilità del marcio che tende ad albergare in noi e senza scoraggiarci dalle contrarietà di un mondo che marcia in senso opposto, già nel clangore assordante del Natale profano e consumistico.
  Che Dio diventi Bambino è infatti per noi è un privilegio assoluto e che proprio noi possiamo goderne i vantaggi è non può che essere considerato un privilegio esaltante, da valorizzare e da trasmettere a chiunque incontriamo sul nostro cammino. Ma di cosa si tratta? Cos’è il Natale per noi?

A Betlemme avviene qualcosa di straordinario, collocato nel cuore della notte: natura divina e natura umana si congiungono in tutt’uno armonico e Dio, eterno, infinito e ineffabile, Creatore e sostenitore del cosmo e della realtà creata, diventa nel pieno senso del termine uno di noi, uomo comune sottomesso alle tappe comuni del ciclo genealogico ed evolutivo, entrando nel mondo sottoposto alla comune tappa dell’infanzia che lo sottopone a due genitori come tanti altri, dai quali riceverà formazione ed educazione alla pari di tanti altri ragazzi, adolescenti e giovani di ogni epoca e di ogni cultura. Dio insomma, preesistente fin dall’eternità, fautore e sostenitore di ogni opera nel cosmo, Provvidenza assoluta e detentore di ogni primato, assume un corpo e un’anima umana. La natura divina e la natura umana si congiungono in un tutto soggettivo armonico. Vero Dio e vero uomo, senza confusione fra le due nature in un’unica Persona.  L’eternità entra nel tempo e l’Infinito diventa caduco, finito e circoscritto. Entrando nel mondo il Figlio di Dio diventa anche Figlio dell’Uomo; assume la condizione umana senza retoriche, nulla omettendo di questa, ma osservando tutte le tappe proprie della vita umana, dalla genealogia all’infanzia, fino alla vita professionale e adulta, senza omettere alcuno dei percorsi dell’umano vivere e senza avvalersi di alcun privilegio o di alcuna autorità divina. 

. Il Creatore del mondo, che è all’origine di ogni governo e di ogni istituzione, sceglie una discendenza dalla quale si evolverà una lunga somma di generazioni (Matteo) che condurranno a lui; viene concepito da un comunissimo grembo materno, peraltro appartenente a una  donna giovane e dimessa; sonnecchia accudito dall’amore di due comuni genitori che lo assistono fra le scomodità delle rocce e delle biade animali; si sottomette alle prescrizioni vigenti sulla consacrazione di ogni primogenito al tempio di Gerusalemme; si espone al pericolo della furia di Erode che costringe la sua famiglia a fuggire in Egitto; si attiene alla formazione scolastica e alle normative di educazione e di crescita previste per tutti i fanciulli e per tutti i giovani del suo tempo; apprende la vita sociale, impara a interagire, si forma come tutti gli altri nell’apprendistato di un mestiere, imparando la vita pratica  e conoscendo tutte le lotte, le ansie e i sacrifici a cui sono soggetti gli uomini del suo tempo… Insomma è uomo in tutto e per tutto, non irrompe nella nostra storia ma vi si sottomette percorrendone tutte le tappe e restando asservito ad ogni esperienza che il vivere umano comporta.  Fatte salve due sole eccezioni: nasce da una Vergine priva di macchia e di imperfezioni e non familiarizza in alcun modo con il peccato. Se vogliamo essere ancora più precisi, le eccezioni sono tre, perché a differenza di quanto solitamente preferiscono gli uomini, si ha scelto un’umanità fra le più  misere, reietta e abbandonate, già riscontrabile nella paglia e nel fieno in cui viene trastullato non appena venuto al mondo. Per nascere nella carne., Dio non predispone per sé le fortezze regali o i palazzi degli imperatori dai giardini lussureggianti; non predilige posizioni sociali di alto rango, non si afferma sulla massa con preponderanze da uomo blasonato e invitto, ma sceglie la miseria, l’oppressione, la persecuzione; si prodiga per condividere ansie, problemi, difficoltà e asperità proprie dell’umanità più debole e sottomessa, recando sulle spalle per tutta la vita il fardello di tanta umiliazione. Tutto ciò che infatti riscontriamo nella Divina Infanzia di Gesù quanto a sottomissione, umiliazione, povertà e semplicità di vita, lo troveremo anche in ogni tappa della sua vita ministeriale pubblica e soprattutto nell’ora del suo acme inevitabile, che sarà quello dell’autoconsegna per noi sulla croce. 

  Le stesse bende che avvolgono ora il Fanciullo nella mangiatoia di Betlemme, le ritroveremo sparse sul pavimento del sepolcro di Gerusalemme; la stessa fuga che ora gli vediamo intraprendere dalla foga di Erode, la riscontreremo nel suo sgomitare fra scribi e farisei che improvviseranno sassaiole perché vorranno la sua pelle; lo stesso sangue esile che scorre nelle piccole membra in preda al freddo notturno scorrerà al Getzmani accanto al sudore, proprio nella notte dell’abbandono e del tradimento. 

  Ma perché questa scelta divina di umanità? Perché questa volontà di Dio Verbo di Incarnarsi in una deplorevole condizione e di vivere nella più deplorevole delle condizioni umane? 

 Oggi abbiamo il prontuario di tante risposte elaborate in virtù dalla rivelazione stessa, che non possiamo che far nostre e che siamo tenuti a meditare e ad approfondire: Dio si è fatto uomo per salvarci e per riconciliarci con il Padre (Catechismo Chiesa Cattolica), poiché Dio ha tanto il mondo da mandare il suo Figlio vittima di espiazione per i nostri peccati e perché in questi noi trovassimo la vita (1Gv 4, 9- 10). Poiché poi il peccato è la vera schiavitù opprimente dell’uomo, Dio ha assunto un corpo e un’anima perché noi fossimo liberati dal peccato e perché fossimo partecipi della natura divina (2Pt 1, 4). Conoscendo Cristo nella carne e configurandoci a lui, possiamo anche noi diventare figli di Dio e conoscere la verità, quella verità che ci fa liberi (Gv 8, 31 – 32). Non c’era infatti altra via più adeguata ed efficace se non quella dell’incarnazione perché l’uomo potesse familiarizzare con Dio e così diventare (in un certo qual modo) Dio egli stesso, superandosi, colmando le proprie lacune e raggiungendo così i suoi ideali di verità, di pace  e di libertà. Se Dio avesse conosciuto un espediente più appropriato per interloquire con l’uomo, se avesse individuato una forma di dialogo e di interazione e un linguaggio più concreto per interagire con noi intorno alla salvezza e alla vita, certamente lo avrebbe messo in atto; nulla anzi gli avrebbe impedito di convincerci sul nostro peccato con sistemi ben più perentori quali la condanna o la coercizione; avrebbe anche potuto avvalersi della sua signoria e della sua padronanza per debellare questo mondo umano nefasto e immeritorio. Ma se ha voluto farsi uomo egli stesso, umiliandosi e spogliandosi delle sue grandezze e vivendo le stesse esperienze di vita con noi, ciò è stato perché l’incarnazione è di fatto l’unico mezzo possibile per dimostrarci nell’evidenza che è possibile vivere da uomini secondo Dio e che la perfezione che è in grado di guadagnare la salvezza è la vita non è una chimera o un obiettivo irraggiungibile. Dio si è fatto uomo perché l’uomo potesse diventare Dio (S. Atanasio).

  Non abbiamo però menzionato il comune denominatore che sottende a tutte le motivazioni appena esposte, ragione fondamentale per cui Dio ha voluto incarnazione, cioè l’amore smisurato per l’umanità. Dio per amore aveva creato il mondo, per amore aveva lasciato libero l’uomo di scegliere fra il bene e il male e sempre l’amore è il criterio con cui ha sempre rispettato questa libertà decisionale. Per amore immenso vero l’uomo Dio però ha manifestato le sue prodezze salvifiche, manifestando continuamente se stesso e la sua Parola. Quale altro motivo fondamentale poteva spingere Dio ad assumere per noi anima e corpo se non l’amore disinteressato per questo umanità inferma, illusa, che procede andando alla deriva e arrancando su un relitto nel constante pericolo di affondare? Solo chi ama intensamente è in grado di conoscere fino in fondo i problemi, le difficoltà e le necessità della persona amata per poi agire a suo vantaggio nel modo più appropriato; Dio, che è Amore, appunto perché ci amava senza riserve poteva conoscerci tutti e ciascuno fino in fondo, in modo da ritenere necessario doversi incarnare per condividere le nostre ansie e le nostre lacune e da queste risollevarci e intanto essere per noi via, alla verità e alla vita (Gv 14,6). 

  Gregorio di Nissa descrive quali possano essere stati i sentimenti di Dio nella constatazione della nostra debolezza e della nostra inclinazione a cedere al male e conclude che solo l’amore poteva muovere a Dio a intervenire a nostro favore con l’evento unico di Betlemme: 

“La nostra natura, malata, richiedeva di essere guarita; decaduta, d’essere risollevata; morta, di essere risuscitata. Avevamo perduto il possesso del bene; era necessario che ci fosse restituito. Immersi nelle tenebre, occorreva che ci fosse portata la luce; perduti, attendevamo un salvatore; prigionieri, un soccorritore; schiavi un liberatore. Tutte queste ragioni erano prive d’importanza? Non erano tali da commuovere Dio sì da farlo discendere fino alla nostra natura umana per visitarla, perché l’umanità si trovava in una condizione del tutto miserabile e infelice?”

  Solo l’amore immenso e disinteressato poteva condurre Dio a rilevare come preoccupanti gli elementi di peccato e di miseria morale dell’uomo e solo in forza di questo amore poteva ritenere indispensabile che egli stesso camminasse con lui passo dopo passo, condividendo la sua triste condizione per poterlo da questa liberare e di conseguenza risolvendo necessario dover assumere natura umana egli stesso. Assumendo un corpo e un’anima, Dio poteva meglio indirizzare l’uomo senza moniti dall’alto, ma proponendosi a lui come modello, guida, sentiero da percorrere e intanto come risoluto compagno di cammino.
  Come ricorda Massimo il confessore e con lui alcuni altri Padri della Chiesa, il Natale non si riduce alla sola Festa o al solo periodo liturgico, ma accanto a una nascita storica si realizza in noi anche una nascita perenne di Gesù nel nostro spirito tutte le volte che lo desideriamo. In forza del suo amore per noi,  ogni qual volta il vizio soccombe alla virtù e la carità ha la meglio sul peccato, questo è un nascere di Dio in noi. Tutte le volte che la comunione fra di noi, la condivisione e la solidarietà vincono  sospetto, egoismo e presunzione si verifica la nascita nel nostro animo del Divino Fanciullo; ogni qual volta insomma non impediamo che il bene vinca sul male, si realizza nei nostri cuori il protrarsi del Natale celebrativo del 25 Dicembre.
  Sulla base di quest’ultima considerazione vorrei rivolgere a tutti voi il mio augurio di Buon Natale, affinchè permettiamo al Signore di trovare spazio in noi e lasciare che egli nasca continuamente nel nostro animo, perché sia sempre Natale e la Festa possa protrarsi all’infinito.
  Sgombriamo gli animi dalle tensioni e da eventuali sentimenti di rivalsa gli uni verso gli altri; mettiamo da parte i rancori, le amarezze e le apprensioni che possono essere stati causa di alterchi e divisioni rovinando ora la nostra serenità; dimentichiamo i torti ricevuti e le altrui mancanze nei nostri confronti  e prodighiamoci nella carità e nell’accettazione reciproca, senza lasciarci vincere dal male, ma vincendo il male nell’opera del bene (Rm 12, 21). E così avremo modo di vivere il Natale nella pace e nella serenità con noi stessi e con gli altri, protrando questo singolare prodigio dell’incarnazione per tutto il resto dell’anno.

 A TUTTI VOI UN CARISSIMO AUGURIO DI BUON NATALE

                     

                                                                                                   P. Gian Franco Scarpitta