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Provincia T.O.M. Maria-Stella / Lettera di Quaresima 2020 del Del. Prov. P. Gian Franco Scarpitta

 

Castellammare di Stabia, 7 Febbraio 2020

Carissimi Terziari,

Anche quest’anno siamo invitati ad appropriarci in modo del tutto precipuo e privilegiato dell’appello alla “lacerazione del cuore”(Gl 2, 13) per rivolgere l’attenzione unicamente verso Dio, fautore di ogni conversione perché latore di ogni misericordia.
La Quaresima è infatti un itinerario di penitenza. Essa non si limita alle sole pratiche esteriori del digiuno e della mortificazione corporale, che pure sono di ausilio alla nostra crescita fisica e spirituale.
Penitenza e Quaresima sono piuttosto un processo di rimarchevole presa di coscienza della continua vicinanza del Signore che non si stanca di riconciliare a sé l’uomo, mostrandogli tutte le ragioni per cui ritenga conveniente abbandonare i propri sentieri di orgoglio e di presunzione, orientandosi unicamente verso le Sue vie, orientandosi esclusivamente verso i Suoi pensieri per poter attaccarsi al bene e fuggire il male con orrore (Rm 12,9).
“L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri; le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”, tale è il monito del profeta Isaia (Is 55, 7 – 9), che indica le condizioni di convenenza della conversione a Dio: l’amore che Questi ha nei confronti degli uomini e la sua disposizione al perdono e alla riconciliazione, vale a dire la misericordia che non considera i nostri demeriti, ma che guarda con ansia alle nostre necessità fondamentali. Detto in altri termini, Dio ama l’uomo e considera che l’unica possibilità di salvezza per lui è usufruire di questo stesso amore nell’essere affrancato dalla schiavitù del peccato per guadagnare la realizzazione e la libertà. L’uomo non realizza se stesso contando esclusivamente sulle proprie forze e orientando le sue scelte secondo i criteri di presunzione soggettiva che lo portano ad ostinarsi nel peccato, ma ha bisogno di un’alternativa alla scelta subdola e illusoria del male e questa viene data dalla Rivelazione di Dio e dalla sua misericordia riconciliante.
L’uomo si realizza nell’ascolto, nell’assimilazione e nell’interiorizzazione della Parola di Dio e nel fare di questa un perenne criterio di vita che lo conduce verso liti risolutori di pace e di felicità perdurante: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché qui sta tutto l’uomo”(Qo 12, 13).
La nostra spiritualità di Minimi ci invita a prendere in seria considerazione questo appello divino così promettente, affinché oltre che aderirvi noi stessi ne siamo latori anche agli altri, anche in ragione dell’identità che Giulio II dava ai Religiosi del Primo Ordine: essere “luce che illumina i penitenti” e prima ancora Alessandro VI “essere luce che illumina le genti.”
Non possiamo accontentarci esclusivamente di usufruire della misericordia di Dio per mutare i nostri cuori nella via del bene, ma occorre che ci aiutiamo anche gli uni gli altri ad abbandonare ambiti deleteri di peccato per orientarci costantemente verso Dio e verso il prossimo. Di conseguenza è indispensabile che di questo appello diventiamo apportatori missionari a tutti coloro che incontriamo sul nostro cammino.
Come riflettevo in questi ultimi giorni, due personaggi della nostra agiografia costituiscono per noi pedagogia quaresimale concreta, perché in essi si evince la prima condizione indispensabile per cui è possibile avviare un serio e frugifero itinerario di conversione nella nostra persona e nei nostri rapporti: l’umiltà.
San Nicola Saggio infatti riflette anche per i nostri tempi i valori della semplicità di vita, del nascondimento, dell’umiltà e della pazienza nella prova, che associava sempre allo zelo operativo e alla carità.  Già il duro lavoro di contadino nella terra della casa paterna, svolto con abnegazione e profitto, lo incentivava ad alimentare lo spessore di umiltà e di carità che associava alla preghiera e alla vita parrocchiale. Tali prerogative di servizievole disposizione e bontà di fondo continuò a coltivare nei conventi in cui venne accolto in qualità di oblato: i lavori di ortolano, celleraio, sacrista, questuante e addetto alle pulizie, associate alla preghiera, al silenzio e alla frequenza dei Sacramenti, svolte nel silenzio e nella continua sottomissione di obbedienza, edificavano i suoi Superiori che potevano contare su di lui nell’affidargli tranquillamente incarichi e mansioni. Nonostante il suo amore per il nascondimento e per le umili attività svolte con fervore, Fra Nicola non si risparmiava nell’esercizio della carità sia verso i confratelli sia verso gli indigenti, particolarmente nel Convento di Roma – Monti dove fu inviato come addetto alla portineria. Tale servizio non gli impediva di prodigarsi alacremente nell’elemosina e nell’attenzione verso i bisognosi che accorrevano a lui, meritando in questo anche la stima del pontefice vigente.
Abbassare se stesso ed esaltare il prossimo affinché Dio avesse il primato nella sua vita era quindi la prerogativa costante di questo Oblato del 1600, il cui amore per la penitenza gli meritò però sempre l’ammirazione dei grandi e per questo ci esorta a considerare come davvero “chi si umilia sarà esaltato” e “gli ultimi saranno i primi”(Lc 14, 11; Mt 20, 16).
La vita ordinaria di questo semplice uomo modesto ci ragguaglia che la penitenza è una prospettiva possibile, perché incarna l’attualità, anzi della quotidianità concreta della prospettica croce – risurrezione –innalzamento del Cristo, il quale riverbera in noi l’obiettivo certo della gloria che consegue però all’immolazione.
Umiltà e innalzamento caratterizzano anche la vita penitenziale di Santa Giovanna di Valois, le cui condizioni sociali erano ben differenti da quelle di Nicola Saggio, e tuttavia identiche furono le prerogative di mortificazione, penitenza e di carità che costituiscono la quaresima in quanto consentono l’affidamento costante a Dio, amato sopra ogni cosa. In questa donna blasonata eppure semplice e dimessa nel carattere e nelle intenzioni, l’umiltà è accresciuta, come già in Nicola Saggio, dalla frustrazione di continue vessazioni e sottomissioni a cui la vita non di rado la costrinse, che per lei furono occasione di accrescimento della consapevolezza di dover sempre contare sul primato di Dio.
La nostra nobildonna dovette accettare passivamente la duplice umiliazione di essere ripudiata prima dal padre Luigi XI, che la isolò in un castello per via delle sue defezioni fisiche, poi dal marito, il duca di Orleans poi divenuto Luigi XII, che non appena la ebbe in sposa chiese al papa Alessandro VI la nullità di matrimonio essendo questo stato celebrato per coazione esterna dello stesso perfido Luigi XI.
In ambedue le circostanze Giovanna si mantenne sempre intrepida, risoluta e radicata nella fede e nella carità, cogliendo questi atti di riprovazione nei suoi confronti come occasione di perfezionamento e di santificazione personale. Nonostante il ripudio ostentato del coniuge, mostrò sempre indefessa fedeltà e amore nei suoi confronti, mostrandosi sempre attenta a lui soprattutto nella solitudine e nelle difficoltà. Fu costretta ad accettare la nullità canonica del suo matrimonio, (effettivamente nullo perché celebrato per vizio del consenso) e il duca di Orleans, separatosi da lei per convolare a nuove nozze, le concesse il ducato di Berry. Qui trascorse il resto della sua vita nella preghiera e nella carità operosa, secondo la tradizione assistita spiritualmente dal nostro Fondatore San Francesco di Paola allora dimorante alla corte reale. Questi, che l’aveva adottata già di prima come sua figlia spirituale, la indusse alla scelta del Terz’Ordine dei Minimi e per questo motivo, beatificata nel 1950, fu proclamata da Paolo VI patrona del nostro Terz’Ordine (1968).
La storia di questi due personaggi e di tanti altri resi oggetto dall’agiografia del nostro Ordine è davvero edificante e incoraggiante, perché essi sono oggetto di venerazione oggi nella misura in cui dovettero perseverare ai loro tempi, ma soprattutto perché nella loro vita trasfigurata costantemente dall’umiltà e dalla carità di Cristo vi è non soltanto l’incentivo alla vita quaresima di continua e radicale conversione a Dio, ma anche un costante annuncio della Pasqua. Vivere la quaresima non corrisponde infatti ad addossarsi una serie di rinunce, di mortificazioni e di assillanti moniti al ravvedimento e alla scelta di Dio escludendo il peccato dalla nostra vita; non equivale ad esporsi a continui assilli al pentimento, alla sterile compunzione e alla passiva sottomissione, ma comporta anche la prospettiva della gioia che consegue all’abbandono definitivo del peccato. Assumere consapevolezza del proprio stato di demerito davanti a Dio, volervi rimediare cogliendo l’aspetto positivo della sua misericordia nei nostri confronti e adoperarsi per un sincero processo di rinnovamento di noi stessi spirito anima e corpo per essere irreprensibili davanti a lui (1Ts 5, 23) garantisce il conseguimento della gioia che si constata nell’aver guadagnato se stessi e il mondo intero nella comunione con Dio. La vita quaresimale è quindi un preludio alla Pasqua e viverne intensamente con sollecitudine e serietà ogni singola prerogativa costituisce essere profeti della gloria del Risorto. Proprio come avveniva nel vissuto dei santi, la cui condizione in fin dei conti non era dissimile dalla nostra, avendo essi vissuti epoche e situazioni di natura differente, in circostanze svariate spesso più complesse che al nostro secolo.
Papa Francesco ci ricorda che l’abbandono del peccato equivale in fondo anche all’amore nei confronti del creato e dell’ambiente, la cui tutela sta diventando sempre più urgente e improrogabile, al punto da essere ormai materia di generale preoccupazione: “La causa di ogni male, lo sappiamo, è il peccato, che fin dal suo apparire in mezzo agli uomini ha interrotto la comunione con Dio, con gli altri e con il creato, al quale siamo legati anzitutto attraverso il nostro corpo. Rompendosi la comunione con Dio, si è venuto ad incrinare anche l’armonioso rapporto degli esseri umani con l’ambiente in cui sono chiamati a vivere, così che il giardino si è trasformato in un deserto (cfr Gen 3,17-18). Si tratta di quel peccato che porta l’uomo a ritenersi dio del creato, a sentirsene il padrone assoluto e a usarlo non per il fine voluto dal Creatore, ma per il proprio interesse, a scapito delle creature e degli altri.”
Per questo motivo la “conversione ecologica” non può che essere preceduta da una radicale trasformazione personale che impegni innanzitutto lo spirito soggettivo, per interessare l’intera comunità ecclesiale e il mondo intero, affinché estirpiamo ciò che è fondamentalmente lesivo anche alla nostra convivenza e al nostro futuro.
Proprio l’orgoglio e l’autocompiacimento umano, uniti a egoistici interessi venali, hanno deturpato il clima globale del nostro pianeta mettendo in allarme il mondo intero per fenomeni sempre più inquietanti come lo scioglimento progressivo dei ghiacci in Antartide, l’innalzamento e l’acidità degli oceani, accanto ai disboscamenti e alle deforestazioni.
Si potrebbe anche giungere a una situazione irreversibile che ci farà rimpiangere di non aver usato tutti quella necessaria umiltà e buona disposizione indispensabile alla salvezza del creato e della nostra stessa vita, di non aver colto immediatamente l’occasione propizia per scongiurare la rovina dell’ambiente, di non aver provveduto in tempi necessari ad omettere la prevaricazione dei profitti e degli interessi personali sul bene del pianeta.
Ecco perché il ravvedimento e la conversione sono indispensabili e improcrastinabili e non possono non riguardare ogni momento e ogni aspetto della nostra vita, nella consapevolezza che solo in Dio e nella sua Parola è possibile la nostra salvezza presente e futura e che ogni altra alternativa è solamente lesiva e perniciosa.
L’itinerario di quaresima che stiamo per intraprendere nella pratica della preghiera, del digiuno e della carità verso il prossimo ci solleciti a un radicale cambiamento di vita “secondo Dio”, ci renda consapevoli di questa grande risorsa che è la sua misericordia e ci induca a non anteporre nulla al Signore perché la nostra vita sia sempre conforme a lui, affinché nella conversione possiamo scoprire le radici della gioia.
L’intercessione dei santi ai quali abbiamo fatto riferimento ci solleciti in tal senso, come pure la maggiore attenzione alla vita di San Francesco di Paola e alla nostra Regola Tom.
A proposito di quest’ultima, ritengo che non sarà mai abbastanza da parte nostra insistere sulla meditazione dei cap. 3, 4 e 5 che costituiscono il cuore della nostra spiritualità con i loro preziosi suggerimenti ad accostarci ai Sacramenti dell’Eucarestia e della Riconciliazione e a far proprie le istanze di fuga dal mondo nella preghiera e nella rinuncia alle frivolezze e alle banalità per l’accrescimento della carità operosa.
A tutti voi auguro sinceramente un percorso quaresimale di gioia e di santità.
Un caro saluto.,

P. Gian Franco Scarpitta